Marotta: “Lo stadio è il 12esimo uomo in campo. Come si sceglie un calciatore? Va valutato anche l’aspetto umano”
Le parole del dirigente dell'Inter all'evento organizzato dall'Università CaFoscari di Venezia sul business calcisticoBeppe Marotta, dirigente dell’Inter, è intervenuto all’evento organizzato dall’Università CaFoscari di Venezia ‘CaFoscariNow’, in ambito calcistico. Ecco le sue parole:
GLI INIZI – “Sono felice di essere qui perché sono legato a Venezia, qui ho ottenuto la promozione del Venezia in Serie A. Ho accettato con grande piacere questo invito. Mi piace dialogare con il futuro della nazione. Mi auguro che voi possiate prendere parte al cambiamento del calcio che è un fenomeno sociale e di business, con numeri di grande rilevanza. Ciò che rappresenta lo stadio è importante, accompagna il cambiamento di modello di riferimento del calcio. Faccio questo lavoro da 42 anni, ho iniziato da ragazzino e mi sono ritrovato ad essere dirigente del Varese. Ho assistito ad un cambiamento epocale con più modelli di riferimento: dal mecenatismo dove c’era un grande imprenditore alla guida delle squadre che voleva regalare ai tifosi emozioni forti, oggi invece le società sono delle media company legati a fenomeni rilevanti e ad una struttura alla quale vi auguro di poter entrare“.
CAMBIAMENTO DEL CALCIO – “All’inizio della mia carriera la Panini dedicava solo tre righe all’organigramma della società e andava aumentando con il tempo con alcune figure. Gli stadi erano sempre pieni, negli anni 60′ San Siro arrivava ad una capienza di 70-80 mila spettatori. Poi le esigenze di sicurezza hanno posto dei limiti. Oggi c’è un modello di business che porta ad avere stadi che devono rispondere ad esigenze di sicurezza molto ristrette e rispettate, accoglienza, senso di appartenenza, ospitalità, dove gli sponsor sono determinanti. Poter concedere una giusta ospitalità è indispensabile. Gli stadi valorizzano le risorse e sono importanti per i ricavi. Con la Juventus ho vissuto il passaggio da uno stadio all’altro. Lo stadio rappresenta il 12esimo uomo in campo, la gente a Torino è a metri di distanza dai giocatori, mentre negli anni 60′ prevedeva le piste d’atletica. Stando in campo ci sono sentimenti trasmessi dai giocatori, significa correre perché spinti dagli stessi giocatori”.
MODELLO JUVENTUS – “A livello economico, il passaggio della Juventus ha portato un incremento di tre volte rispetto alle stagioni precedenti. Barcellona e Real Madrid guadagnano circa 150 milioni di euro a match. Bisogna aggiornare gli stadi non solo per la sicurezza, ma anche per i ricavi. Credo sia un’esigenza investire negli stadi. Accanto allo stadio reale c’è anche lo stadio virtuale. Gli stadi non devono essere più dei grandi stadi, ma devono essere vissuti giornalmente con iniziative di marketing sviluppate dalla società. Ci deve essere lungimiranza dai proprietari delle società che devono rispettare la continuità.
CONTINUITA’ – “Oggi si vede spesso un cambiamento negli azionisti, che non portano a cose positivi perché non si ha un discorso di continuità sia per quanto riguarda gli stadi, ma anche i centri allenamento. Bisogna avere una vision che permetta di programmare. In Italia per costruire uno stadio si deve passare per tantissimi soggetti, ma per me devono essere bypassati alcuni passaggi di ostruzione. Ci devono essere delle facilitazioni in ambito fiscale. Uno dei maggiori contribuenti della nostra nazione è il calcio: la Serie A versa circa 800 milioni a cui vanno aggiunte Serie B e Lega Pro. La defiscalizzazione può portare ad un aumento di questo tipo di crescita”.
CULTURA CALCISTICA ITALIANA – “Se noi prendessimo 100 tifosi che escono da uno stadio e gli chiediamo ‘vorreste che la vostra squadra vinca tutte le domeniche con una società che ha difficoltà o una società virtuosa che pareggia e perde e vince ogni tanto?’. La risposta sarà sicuramente per il 99% vogliamo la squadra che vince e ci interessa poco del bilancio. Si parte da un fatto culturale di educazione che in Italia non c’è, la pressione che accompagna i club. Le pressioni nascono dopo la partita se la squadra perde, nascono quando ci sono i talk show della sera che poco hanno di costruttivo e molto critici. Siamo in un contesto critico e bisogna partire da questi confronti per far nascere un modello di riferimento sportivo per educare i tifosi alla cultura della sconfitta che in Italia è vissuto in modo minimo. In Inghilterra se la squadra perde non si abbandona lo stadio, si resta in un clima di amicizia. Bisogna sensibilizzare secondo la cultura calcistica. Ci sono esempi come la Spagna dove le società sono polisportive con più soci che garantiscono la continuità storica, come Barcellona, Real Madrid e in Germania in cui non è consentito a proprietari stranieri ad avere quote di maggioranza dei club e questo porta ad un senso di appartenenza“.
PRESSIONI ESTERNE – “Ho partecipato ad un corso che riguarda il direttore sportivo con Italo Allodi, dirigente di Inter, Juventus. Diceva che il muratore poteva diventare architetto il giorno dopo solo nel mondo del calcio. In nessuna azienda c’è questo tipo di possibilità. Accanto alla società devono esserci persone competenti. In Italia non c’è la continuità aziendale, c’è la pressione dei tifosi e si vive la settimana con momenti di pressione notevole, sia alla Juve che all’Inter li ho vissuti. Se c’è tranquillità si lavora meglio. I bilanci delle società sono settimanali e legati alle gare della domenica. In Italia succede anche che il futuro dell’allenatore sia determinato da una sconfitta e non è giusto perché la figura dell’allenatore è importante, ma è soggetto a critica e pressione da parte dei tifosi. Rischi di esonerarlo anche se ha delle qualità tecniche, solo perché te lo chiede la piazza. Bisogna capire in quale contesto si vivono forti emozioni che vanno razionalizzate“.
ASPETTO UMANO – “Abbiamo parlato tanto di numeri, ma esiste anche l’aspetto umano. I giocatori sono degli assent: un conto è trovarsi davanti ad una bottiglia di acqua minerale e una è trovarsi davanti un giocatore. Quando si va a veder eun calciatore si deve capire cosa ha dal punto di vista umano. Bisogna osservare e capire cosa ha, l’aspetto umano nella mia storia ha fatto la differenza. L’ultimo esempio è Cristiano Ronaldo che oltre ad essere un grande calciatore è un grande campione. Anche nel calcio c’è una scala di valori. La differenza tra talento e campione è che il talento ha una serie di caratteristiche magari anche innate, mentre per diventare campione bisogna avere esperienza e qualità umane. Bisogna cercare giocatori che all’interno hanno queste capacità. Io ho avuto la fortuna di gestire Cassano che era un talento con qualità calcistiche eccezionali, ma non è riuscito a farle crescere e quindi non si può catalogare come campione. Per costruire una squadra devi trovare calciatori in base alle caratteristiche tecniche che servono per la squadra, ma anche caratteristiche umane che permettano al gruppo di diventare squadra. Gli obiettivi li raggiungi con il gruppo che condivide un obiettivo e diventa squadra“.
CALCIOMERCATO – “Spesso ho avuto a che fare con giocatori su cui sono stati investiti dei soldi che avevano talento, ma poi si sono rivelati normali. Ieri il calciomercato era affascinante, si svolgeva in estate e i tifosi volevano avere delle emozioni estive senza le partite dimenticandosi che la squadra poteva anche essere riconfermata. Il calciomercato è iniziato grazie ad un ex presidente del Palermo che aveva iniziato delle trattative con dei suoi colleghi. Poi si è arrivati a delle sedi ufficiali dove il calciatore era un soggetto passivo con giocatori che dovevano accettare il trasferimento. Nel 1981 i calciatori sono diventati dei lavoratori subordinati come dei lavoratori normali. E’ un po’ anomalo perché sono degli artisti. Ogni trasferimento in quel periodo doveva essere acconsentito dal calciatore. Il calciomercato nella composizione dei bilanci è diventato importante soprattutto per quanto riguarda le plusvalenze. E’ un elemento di carattere economico indispensabile per il calcio italiano se vogliamo essere competitivi. altrimenti non quadrano i conti nell’ottica del Fair Play Finanziario. Lo è anche per le società medie che devono garantire continuità attraverso una solidità finanziaria. Piatek dal Genoa al Milan con una valutazione di 40 milioni ha rappresentato un ricavo pari al 50% del fatturato”.
FUTURO – “Il mondo del calcio pecca di innovazione. Io sono all’interno della federazione e combatto con gli altri per far capire la differenza tra costo e investimento: il primo spendi dei soldi e non sai a cosa porta, mentre l’investimento deve portare a dei ricavi. Se non hai risultati sportivi puoi avere tutte le grandi figure che vuoi, ma il tuo brand non sale. Sale nel momento in cui vinci, ma devi avere una società alle spalle che ti permetta di fare investimenti per vincere. I migliori studenti possono diventare i migliori dirigenti. Tanti miei allievi ora sono importanti nel mondo del calcio. Quanto seminato è stato raccolto e sono orgoglioso. Credo di aver dato tanto al calcio e ho ricevuto tanto. Oggi mi sento ancora di dare qualcosa“.
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