Da dieci anni il 22 maggio è una data scolpita nella mente di ogni tifoso interista. Esattamente dieci anni fa l’Inter sotto al cielo di Madrid sollevava la Champions League chiudendo una stagione perfetta. A dieci anni di distanza, ai microfoni di Sky il grande protagonista di quella cavalcata si racconta.
“Grazie a voi ed ai miei giocatori. Senza di loro oggi non sarei qui”.
RICORDI – “Ci sono momenti indimenticabili nella nostra vita, questo è uno di quelli. Il rapporto che ho con i giocatori, Moratti e con quelli con cui ho lavorato è qualcosa di più importante. Il Triplete ovvio, la Champions ovvio, era il sogno degli interisti, dei giocatori ed anche il mio, ma è questo rapporto che ricordo con più piacere”.
TRIPLETE – “Penso che ovviamente i risultati fanno la storia e qualche volta un allenatore, un presidente, una organizzazione o un giocatore qualche volta può fare un lavoro fantastico, però i risultati sono la storia. Senza risultato non c’è vera storia. Però io mi sento veramente speciale con questa squadra perché penso che quello che abbiamo fatto va più lontano delle coppe, della storia che abbiamo fatto, di quello che abbiamo scritto nella storia dell’Inter e del calcio italiano. Sappiamo che significava per ogni interista, va più lontano di questo, la cosa che mi fa sentire veramente speciale è essere uno dei capi. Mi considero sinceramente uno dei capi perché siamo una famiglia dieci anni dopo. Tutti sparsi nel mondo e siamo una famiglia sempre, questa è una cosa che mi manca profondamente nella mia carriera. Perché ho avuto la fortuna di fare grandi risultati, però questo sentimento di famiglia per sempre mi fa sentire troppo orgoglioso”.
DIFFICOLTÀ DELLA STAGIONE – “Sì, avevamo la sensazione che avevamo già vinto. A Kiev all’85 eravamo fuori, contro il Chelsea era difficilissima, a Barcellona quando Thiago è stato espulso e pensavano praticamente tutti che eravamo fuori. Ma quando siamo arrivati al Bayern, la sensazione di tutti era che la coppa era nostra. Ho cercato di dare ai giocatori il messaggio corretto. Penso che il sentimento di tutti era che Dio aveva deciso che la coppa era nostra. Senza il senso di famiglia che avevamo, sarebbe molto difficile fare una stagione come la nostra. Prima di tutto viene questo senso di famiglia. L’Inter di Moratti aveva questo, sapeva creare una famiglia. La stagione non era solamente la Champions, abbiamo avuto ovviamente delle difficoltà. Io mi sono sentito sempre uno di loro. Magari con più esperienza e responsabilità, ma mi sono sempre sentito parte di un gruppo. Poteva finire solamente così”.
MESSAGGIO DI ZANETTI – “Sapete perché rido? Perché anche a 40 anni, senza parrucchieri, ha sempre il suo capello al top (ride, ndr)”.
GRUPPO – “La gente lo guarda e lo sente ovviamente come il nostro capitano, però io voglio dire che per me Zanetti era il capitano dei capitani. Noi avevamo un gruppo di ragazzi, è importante dire che qualcuno di loro non ha giocato tanto in questa stagione però erano assolutamente fondamentali nell’ambizione della squadra, nella professionalità. Zanetti, Cordoba, Materazzi, Toldo, Orlandoni. Un gruppo di giocatori di cuore nerazzurro e che erano la trasmissione di questi valori, di un sogno che veramente per questo gruppo di ragazzi che erano già dopo i 30 anni era adesso o mai più. Il sogno degli ultimi 2-3 anni della carriera. Dopo, c’era un gruppo di giocatori tra i 25 e i 30 anni con grandi ambizioni. Questi giocatori che erano stati scaricati da altre squadre, da parte nostra era cercare il giocatore per fare dal punto di vista tattico una squadra più forte, ma allo stesso tempo di un determinato profilo caratteriale. Milito e Motta anche erano giocatori che arrivavano dal Genoa e facevano un passo in avanti nella carriera e avevano l’ambizione come minimo di vincere in Italia, poi Lucio era stato scaricato, idem Eto’o e Sneijder. Devo dire un enorme grazie a Branca e Oriali che hanno fatto un grandissimo lavoro e mi hanno aiutato tantissimo e ovviamente l’uomo che guidava tutti al sogno era Moratti perché non nascondeva mai il sogno ed è stato fondamentale anche per me per fare qualcosa di speciale”.
MESSAGGIO DI SAMUEL – “È sempre bello rivederlo. Oggi qui con voi mi sento come il rappresentante dei giocatori, non mi vedo speciale. In questa squadra l’importanza di Diego che ha segnato i gol decisivi delle finali, poi Julio, Cambiasso, per me il contributo di ogni giocatore è lo stesso, inclusi Orlandoni che non ha giocato e tutti gli altri, i magazzinieri, i medici, tutto. Senza parole. Quello che noi abbiamo fatto va molto più delle coppe che abbiamo vinto di questa Champions che è diventata storica per noi”.
FINALE – “Non ho mai pensato a me, a vincere un altro trofeo. Ho pensato alla gioia degli altri, al significato di quella coppa per Moratti, Zanetti, i tifosi. Ho pensato di modo altruista, non egoista. Quello mi ha fatto sentire in quel momento lì speciale in quel senso. Sono riuscito a essere umile, tranquillo, più attento alle reazioni degli altri che della mia. I calciatori hanno fatto tanto per me”.
MESSAGGIO DI MILITO – “Sono tanti anni che non ci vediamo e quando siamo insieme sembra che siamo stati insieme fino al giorno prima”.
NOTTE DI KIEV – “Non sono uno che parla tanto delle storie dello spogliatoio, però dopo tanti anni la gente inizia a parlare è anche bello che la gente possa condividere con noi un po’ la storia della nostra annata. Quella partita lì, all’intervallo ho visto gente triste. Io odio gente triste, quando c’è tanto da giocare. Dico sempre che ho pianto tante volte dopo le grandi vittorie, però ho pianto solamente una volta dopo una sconfitta in tanti anni perché non mi piace questo. Ero veramente arrabbiato perché sentivo che la squadra doveva fare molto di più. Dicevo sempre che si può perdere, ma solo dando tutto in campo e non piangendo dopo. In quell’intervallo penso che sono riuscito a fare i cambi di cui la squadra aveva bisogno. Dovevamo rischiare tutto, neanche pareggiare bastava. Penso di essere entrato nel cuore dei giocatori e la squadra nel secondo tempo è stata fantastica. Magari è un momento chiave perché non siamo mai stati così vicini all’eliminazione”.
BARCELLONA – “La più bella sconfitta della mia vita. Ovviamente è una partita che abbiamo vinto 3-2, dico sempre. Solo con la nostra mentalità speciale è stata possibile. Senza la qualità dei giocatori ovviamente non era possibile. Senza un grande lavoro non si può battere 3-1 il Barcellona a San Siro. Non si può battere questo Barcellona e questa partita con 10 giocatori per più di un’ora senza questo concetto di famiglia. Prima della partita di Barcellona, mio figlio che aveva 10 anni mi ha detto: ‘papà sono stato nella tua prima finale però non mi ricordo. Voglio vincere una Champions da ricordare’. Prima della partita a Barcellona inizio a parlare di mio figlio e sfido i miei giocatori a pensare ai loro figli. Devi vincere a Madrid per la tua famiglia. Siamo entrati in campo con questo sentimento per farlo per i nostri famigliari. Puoi parlare così ai tuoi giocatori solo se c’è questo rapporto di famiglia. Siamo entrati al Camp Nou dicendo o va o va. Sì o sì. Magari chi era davanti alla tv pensavano che era fatta, uscivamo. Ma noi sapevamo che non era fatta. La panchina del Barcellona sembrava stesse festeggiando la vittoria, sono andato lì e ho detto: tranquillo che ancora non è finita. Sapevo cosa dicevo, sapevo che i nostri giocatori avevano la capacità mentale per fare questa lotta. Per me è stata una partita dove gli aspetti umano hanno vinto. Il gruppo ha vinto. Per questo quando parlo della mia Inter parlo sempre con questo sentimento veramente speciale. Il 22 maggio è il giorno in cui abbiamo toccato il cielo, però la nostra famiglia va molto più lontana”.
GRUPPO – “C’era un sentimento speciale. Anche mio figlio lì ad Appiano si è innamorato del calcio perché sentiva questa cosa speciale. L’altro ieri sono stato al telefono con un autista dell’Inter. Dove è possibile che un allenatore dopo dieci anni parla ancora con l’autista della squadra? È così. Se tu mi chiedi perché non sei tornato a Milano dopo la finale? La risposta è lì, perché se torno a Milano poi non vado via”.
GIOCATORI DEL TRIPLETE CHE DIVENTERANNO ALLENATORI – “Cambiasso? La cosa più importante è se vogliono farlo. Quando fai una carriera come loro, tanti di loro hanno qualità ma decidono di non volerlo fare. La prima questione è se vogliono o meno e tanti di loro non vogliono. Cambiasso è uno che facilmente può trasferire il modo di giocare a calcio per diventare allenatore, ovviamente sì. Tutti i miei giocatori delle miei grandi squadre che giocavano in quel ruolo avevano visione privilegiata di gioco. Avevo Costinha, Cambiasso, Xabi Alonso, Matic. Tutti loro secondo me hanno questo tipo di visione e personalità per fare grande allenatore. Il Cuchu vuole, e questo è molto importante. Lui ha già avuto delle esperienze come allenatore in seconda, penso che sta preparando una carriera importante da allenatore”.
CELEBRAZIONI – “È un peccato non poter stare insieme come voleva Moratti. La cosa bella però è che tutti i miei ragazzi stanno nella storia nel calcio. La cosa più bella per me è quando vado per strada, non in Italia perché non vado tante volte, e qualcuno che mi fa una festa è sempre un interista che mi trova per strada. Sempre con le stesse parole: grazie, grazie, grazie, grazie. La gente non dimentica”.
PALLONE DELLA FINALE – “Sì l’ho tenuto, sicuro. Quel pallone che avevo durante la premiazione è uscito dal campo, è entrato un altro da un raccattapalle. Il pallone è uscito e uno dei magazzinieri nostri gli ho detto questo pallone è mio. Lui è andato dal quarto uomo, mi ha preso il pallone e all’intervallo mi ha detto è lì per lei”.
CARRIERA – “Sarebbe ipocrita dire che pensavo che sarei riuscito a fare tutto questo. Una cosa è essere consapevoli del tuo potenziale, avere grande fiducia. Un’altra cosa è sapere che lo farai”.
CHI VINCERÀ PRIMA LA CHAMPIONS, MOURINHO O L’INTER? – “Difficile da dire perché vincere la Champions non è facile, però vediamo. Io sono in questo momento in una squadra che non ha mai vinto e non ha questa cultura della vittoria, dove prima di vincere in Europa magari si deve cercare di vincere in Inghilterra che non è facile. Però questa è la mia ambizione di un club crescente come è il Tottenham. L’Inter devo dire che tanti anni con una Coppa Italia soltanto è pochissimo. Direi quasi inaccettabile. Da un tifoso è dura, difficile di capirlo. Però nel modo come sta lavorando, come sta facendo investimenti importanti, non sarebbe per me una sorpresa se l’Inter torna a vincere in Italia e in Europa”.
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