Paolillo: “Vi spiego com’è nata l’idea del Fair Play Finanziario. Campionati? La ripresa sarà lenta”
L'ex direttore generale dell'Inter intervistato sulle pagine di TuttosportGrande esperto nel settore finanziario, Ernesto Paolillo questa mattina ha spiegato sull’edizione di Tuttosport l’idea di fondo del Fair Play Finanziario, nata sotto la sua supervisione e quella del presidente del Lione, Jean-Michel Aulas. L’ex direttore generale dell’Inter, per quanto riguarda i danni economici che il coronavirus lascerà nei conti dei club europei, cerca di essere il più realista possibile circa la ripresa dal punto di vista finanziario. Secondo le sue previsioni, ci vorranno circa due anni dalla fine della pandemia per tornare nuovamente alla normalità. Questa la sua intervista:
Ernesto Paolillo, come è nata all’epoca l’idea di creare il fair play finanziario con la Uefa?
“Dalla constatazione che in Europa ci fossero sempre più squadre indebitate e con bilanci in deficit e questo, alla lunga, avrebbe reso impossibile riuscire a ripianare le perdite siccome non tutti i club avevano alle loro spalle un proprietario-mecenate. La seconda preoccupazione era dovuta all’indebitamento tra club e questo provocava il ritardo dei pagamenti all’interno del sistema, facendo da moltiplicatore a una possibile crisi”.
Perché ve ne occupaste proprio lei e Jean-Michel Aulas, presidente del Lione?
“Semplice, perché all’interno della Uefa eravamo tra i dirigenti che avevano la massima esperienza nel settore finanziario. Non a caso molte delle regole del fair play sono simili a ciò che regolamenta il sistema bancario, su tutte la possibilità di avere un fido solo se hai la possibilità di ripianare il debito. Nel caso del calcio, la possibilità di giocare i tornei Uefa è data dalla sostenibilità del bilancio dei club iscritti”.
Il dopo Coronavirus sarà un periodo post-bellico pure nel mondo del pallone. Quali misure vanno prese per non mandare il sistema al collasso?
“Non c’è differenza tra mondo del calcio e quello industriale: cambia ciò che si produce, ma la meccanica di gestione è esattamente la stessa. In questo momento le industrie hanno bisogno di tre cose: liquidità, tagliare i costi e iniziare a pensare quello che sarà il dopo. L’industria calcio ha un problema immediato, dato dalla sospensione dei campionati, e il problema di dover affrontare una ripresa che sarà lenta”.
Avrà senso nei prossimi anni mantenere intatto l’impianto del fair play Uefa così com’è stato studiato?
“No: è necessaria una revisione, almeno temporanea, del financial fair play, per aiutare le squadre nella ripresa. Revisione che però non deve essere un allentamento delle regole per permettere alle grandi di fare acquisti a mani basse allargando il divario con chi ha meno liquidità. Piuttosto nei bilanci deve essere data la possibilità di allargare il deficit massimo sostenibile dovuto ai ricavi mancati per effetto del Coronavirus”.
La Serie A a venti squadre rischia di diventare un lusso?
“È un eterno problema. La Serie A così come è strutturata è un lusso anche dal punto di vista organizzativo. Però oggi, in un momento di grande difficoltà, sarebbe rovinoso e penalizzante ridurre il format del campionato”.
Paradossalmente la crisi può accelerare la strada verso la Superlega?
“Di certo può rendere più appetibile quella strada. Però non vanno trascurati i problemi che andrebbero a crearsi per i club più deboli perché la Superlega va a intaccare l’importanza dei campionati nazionali che, con meno attrattività, hanno pure meno ricavi. Indubbiamente però la strada è quella, ovvero rendere ancor più interessante la competizione per rendere l’industria calcio ancora più attraente e stabile dal punto di vista economico. E per molti versi, un campionato europeo ha molte di queste positività. Al contrario però questo shock molto forte sarebbe un dramma per l’industria nazionale”.
È favorevole a un salary cap sul modello americano?
“È la prima cosa che abbiamo considerato quando ci siamo messi a lavorare sul financial fair play e sarebbe stata una soluzione molto logica ai problemi di costi nei bilanci dei club europei. Il problema è che in Europa il salary cap non è giuridicamente praticabile e abbiamo abbandonato l’argomento. Solo un cambio delle regole a livello continentale può abbattere questo tabù”.
Economicamente ha senso salvare la stagione oppure può essere conveniente tirare una linea e pensare a un sistema strutturato su basi differenti?
“Riprendere a giocare aiuterebbe dal punto di vista economico e sarebbe uno strumento per dare distrazione alla gente, però d’altra parte c’è il grande dubbio legato alla regolarità dei risultati”.
Quanto occorrerà per tornare allo status quo?
“Voglio essere realistico: occorreranno almeno due anni dalla fine della pandemia perché il mondo del calcio è strettamente legato a quello industriale ed economico”.
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