PARTITE STORICHE: Inter-Real Madrid 3-1 1963/64
“Noi andiamo a giocare, tu che fai, vieni?”: furono le parole che l’incredulo Sandro Mazzola sentì echeggiare nelle sue orecchie cinque minuti prima della finale di Coppa Campioni. Per il numero 8 nerazzurro era la prima partita contro il Real Madrid, contro quel Real Madrid: aveva trascorso ben dieci minuti nel tunnel degli spogliatoi a fissare una leggenda metà argentina e metà spagnola, ma dal nome nettamente italiano, quell’Alfredo Di Stefano considerato il più grande calciatore dell’epoca nel Vecchio Continente. Lui, Sandrino, ammirato, con gli occhi lucidi, forse aveva bisogno di capire se quello fosse solo un sogno o la realtà: ci pensò un altro fenomeno di quel tempo, Suarez, a farlo tornare sulla terra con quelle fredde parole. Luis, dopo 8 anni in Spagna tra Deportivo e Barcellona, i blancos aveva imparato a conoscerli bene. La delusione più cocente per lui era stata l’eliminazione in semifinale di Coppa Campioni nel 1960: un doppio 3-1 che aveva mandato Puskas e compagni in finale, e Suarez ed Herrera (allenatore del Barca) all’inferno. Helenio e Luis non dimenticarono quella sconfitta, vissuta quasi come una umiliazione personale, e 4 anni dopo, erano ancora uniti, contro il nemico bianco. Dalla loro parte c’era anche quel 22enne figlio d’arte, tanto forte quanto onorato di essere lì quella sera. Era il 27 maggio del 1964, e al ‘Prater’ di Vienna si giocava per la storia.
IL CAMMINO – Della Grande Inter abbiamo già parlato recentemente, e sulle caratteristiche, gli uomini e la mentalità non vogliamo ripeterci. Ci limitiamo solo a confermare che la grandezza di quella squadra stava innanzitutto nell’intelligenza di H.H., immenso uomo di calcio capace di prevedere ogni singola mossa dell’avversario e di trasmettere ai suoi uomini carica e dogmi tattici innovativi; in secondo luogo nei giocatori, alcuni fenomeni, altri meno, ma tutti capaci di svolgere al meglio i loro compiti in campo. All’inizio della competizione Benfica e Milan apparivano come le favorite per la vittoria finale: i portoghesi furono però eliminati al primo turno dal sorprendente Borussia Dortmund, vittoriosi in casa per 5-0 dopo aver perso di misura la gara d’andata in Portogallo, mentre i rossoneri furono messi fuori causa proprio dal Real Madrid. Di Stefano e compagni si trovarono in finale un’Inter vittoriosa in tutte le partite casalinghe e imbattuta in trasferta. In semifinale i nerazzurri avevano pareggiato 2-2 in Germania contro i giustizieri dei rossoneri, per poi batterli 2-0 a San Siro e agguantare la loro prima finale europea; gli spagnoli avevano fatto un sol boccone dello Zurigo con una vittoria complessiva per 8-1, raggiungendo la settima finale in nove anni. La squadra allenata da Munoz, seppur ringiovanita in difesa e a centrocampo, contava in attacco sui quasi 40 anni di Puskas e Di Stefano con Gento prossimo alle trenta candeline e il giovane Amancio: un mix di esperienza e classe.
SCACCHIERE – Herrera preparò la partita come meglio non si poteva. Catenaccio e contropiede potevano funzionare solo insieme a una concentrazione eccellente sull’obiettivo di ogni singolo giocatore. Così a ogni uomo difensivo venne assegnata una marcatura fissa. Il Real giocava con un 4-2-4, in cui Amancio e Gento erano i due attaccanti larghi sulle fasce, Puskas il vero riferimento offensivo e Di Stefano, tuttofare, l’accorrente seconda punta. A Tagnin fu affidato l’ingrato compito di marcare Di Stefano, che faceva su e giù per tutto il campo, dalla sua area di rigore, dove riceveva il pallone dal portiere per costruire l’azione, a quella nerazzurra, in cui spesso si faceva trovare per la conclusione. Il Mago gli aveva detto di seguirlo ovunque e il buon mediano interista non perse mai di vista il fenomeno avversario, tanto che quando, dopo dieci minuti, quest’ultimo si accorse che gli era sempre addosso, gli chiese: “Vieni pure qui nella mia area a marcarmi?”. Roba d’altri tempi. Aristide Guarnieri, stopper, era attaccato a Puskas. “Il colonnello” faceva il centravanti puro, e anche se a 37 anni non era più veloce come ai tempi dell’Honved e della Nazionale ungherese, conservava sempre un ottimo controllo di palla, una rapidità di esecuzione, una precisione e una potenza di tiro eccezionali, così negli spazi stretti era comunque un funambolo. A Giacinto Facchetti toccò Amancio, un’ala imprendibile, molto rapida nel dribbling e con la tendenza a entrare spesso in area di rigore per concludere a rete; Tarcisio Burgnich infine marcava Gento, l’altra ala, che amava partire da lontano, sfruttando la sua bassa statura e la sua notevole progressione.
ALL’ATTACCO – La squadra di Munoz era solita giocare prevalentemente a zona nella metà campo avversaria, mentre negli ultimi 30 metri della propria si disponeva a uomo, con un libero, Santamaria, che non agiva in linea con gli altri tre difensori, ma 5-6 metri indietro. I giocatori del reparto difensivo di quel Real non erano famosi come quelli del reparto offensivo, ma erano ugualmente tutti elementi di una certa levatura: lo stesso Santamaria era stato campione del mondo nell’Uruguay di Schiaffino e Ghiggia. Ma nonostante la forza degli spagnoli, nel primo tempo si gioca la partita che nessuno si aspetta. Jair, Mazzola e Milani vanno in costante pressing sui difensori avversari, limitando la costruzione di gioco dei blancos, che non possono contare solo su un Di Stefano braccatissimo. Così nella prima frazione i pericoli sono tutti di marca interista: la partita si mette bene per l’Inter quando al 43′ Mazzola sorprende con un missile da 25 metri il portiere spagnolo Vicente. Proprio lui, il ragazzo che negli spogliatoi aveva gli occhi lucidi: il sogno continua. Si va al riposo sull’1-o per gli outsider, una sorpresa.
TRAPPOLA – Nel secondo tempo il Real si butta in avanti, facendo così il gioco degli avversari. L’Inter subisce le iniziative di Gento, che colpisce il palo, e di Felo, sempre pronto a dar man forte dal centrocampo all’attacco. Ma il biscione morde, di scatto, quando nessuno se l’aspetta: è il 62′ e un lancio in avanti trova pronto Mazzola, che serve Milani, il quale fa partire un bolide rasoterra. Vicente tocca ma la palla si insacca: è 2-0. Sembra tutto finito, ma la squadra di Munoz è sempre sorniona, e non si dà per vinta. Sette minuti dopo il raddoppio di Milani, è Felo, con un’acrobazia da calcio d’angolo, ad accorciare le distanze. Il gol sembra dare nuova linfa agli uomini in maglia bianca, ma a questo punto si abbassa una saracinesca sulla porta di Sarti: ci provano Amancio, Puskas e di nuovo Felo, ma il portiere nerazzurro e Picchi salvano sulla linea. Quando l’inerzia è tutta dalla parte opposta, però, l’Inter pesca il jolly: Milani lancia in avanti, Santamaria sbaglia l’intervento difensivo e ne approfitta Mazzola. Il suo tiro di esterno destro tocca il palo ed entra: 3-1, la coppa è sempre più vicina. Si aspetta solo la fine e quando l’arbitro Stoll fischia dopo un minuto di recupero, si può festeggiare: la trappola nerazzurra ha funzionato, la coppa resta a Milano.
DOPO-GARA – Alla fine del match, la gioia invade il ‘Prater’. A festeggiare sono proprio i nerazzurri, in primis Suarez ed Herrera, che finalmente possono esorcizzare la maledizione Real. Poi c’è quel numero 8, Sandrino, che cerca Di Stefano, l’idolo, per lo scambio di maglia. Ma accade qualcosa di magico: negli spogliatoi arriva Puskas con la sua maglia in mano. L’ungherese guarda Mazzola e gli dice: “Ho conosciuto tuo padre, ci ho giocato insieme: tu sei degno di lui“. Sandro racconta di aver abbassato lo sguardo. In quel momento Mazzola capì che il sogno e la realtà a volte vanno di pari passo; in quel momento fu sancito il tramonto del grande Real e la nascita della stella nerazzurra nel firmamento internazionale. Fu la prima volta che il modulo all’italiana contro la zona trionfò sul calcio dei fenomeni spagnoli. E fu proprio dopo quella sconfitta che la «Saeta Rubia» (la folgore bionda), Alfredo Di Stefano, lasciò il Real: la dirigenza decise di mandar via il giocatore che per cinque anni era stato considerato il migliore del mondo. Fu Tagnin, un infaticabile mediano biondo, ad annullarlo quella sera, dimostrando che a volte la tenacia può vincere la classe. Fu la Grande Inter a convincere il mondo dello sport che con l’intelligenza si può vincere contro qualsiasi avversario.
INTER-REAL MADRID 3-1 (1-0) MARCATORI: 43? Mazzola, 62? Milani, 69? Felo, 76′ Mazzola INTER (4-3-3): Sarti; Burgnich, Facchetti, Picchi, Guarneri; Tagnin, Suarez, Corso; Mazzola, Jair, Milani. Allenatore: Helenio Herrera. REAL MADRID (4-2-4): Araquistain; Sanchez, Santamaría, Zoco, Pachin; Muller, Felo; Amancio, Di Stéfano, Puskás, Gento. Allenatore: Miguel Muñoz. ARBITRO: Josef Stoll (Austria)
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