Pensavo fosse amore…invece era un Diesse
Leonardo e l’Inter: sembra passata una vita, nella memoria degli interisti troppi avvenimenti hanno offuscato quei sei mesi d’amore e di promesse future sciolti improvvisamente al sole di un’afosa mattina di metà Giugno. Tutto era iniziato il 24 dicembre dell’anno scorso, Moratti in prima persona aveva deciso di confezionare il regalo da recapitare ai tifosi nerazzurri sotto l’albero: un ex milanista di lunga data per rispondere agli sgarbi di mercato rossoneri e in particolare all’indigesto ritorno di Ibra sull’altra sponda dei Navigli. In realtà il Presidente nerazzurro e l’allenatore di Niteroi si erano già scambiati numerosi attestati di stima, anche in pubblico, prima che l’Inter virasse sul rassicurante faccione di Benitez e Leo si prendesse una pausa per rendere meno eclatante il salto da una parte all’altra di Milano. Questione di tempo, questione di tempi. Maturi a Natale per un approdo all’Inter del brasiliano e bui per il collega spagnolo, sfortunato successore di Mourinho, professore severo di tattica e disciplina, poco pallone e tanta palestra, tanto lavoro e zero comunicativa. Nulla di più lontano dallo “Special One”, nulla che potesse farlo dimenticare in fretta. Anzi è proprio Benitez ad andarsene, seppur da campione del mondo, senza lasciare segni o particolari nostalgie tra i tifosi nerazzurri. E’ il momento di Leo: un milanista in tutte le salse, da giocatore, da DS e da allenatore: 14 anni in tutto. Ti aspetti lo scetticismo dei tifosi, poco propensi a perdonare un passato tra le file dei cugini, ti aspetti l’imbarazzo di un ex milanista catapultato da un giorno all’altro ad Appiano Gentile. Niente di tutto ciò: dalla prima conferenza stampa Leo sa dosare le parole con una finezza intellettuale che non permette di muovergli critiche di “etichetta” e soprattutto ha il merito di non rinnegare ma anzi di esaltare le gesta dell’Inter devastante del Triplete e in particolare del suo condottiero: Jose Mourinho. Già perchè sa bene il brasiliano che ignorare l’mponente ombra dell’ attuale allenatore del Real sarebbe una follia: tutto ad Appiano e dintorni parla di lui, del suo carisma dentro e fuori dal campo, delle magiche notti di Madrid e Roma, dello Scudetto in quel di Siena. Il battesimo di fuoco sulla panchina dei Campioni d’Europa è datato 6 gennaio 2011 e non è certo dei più semplici: a San Siro arriva il Napoli dei tre tenori. Leo rispolvera il modulo-Triplete e la calza della Befana si rivela piena di piacevoli sorprese per lui: un 3-1 sui partenopei che non ammette repliche. San Siro si scioglie,dalla Nord si leva un’unica voce: “chi non salta rossonero è!”, lui sorride e si copre timidamente la bocca per non tradire emozioni. Il Milan è solo un ricordo praticamente da subito, la rimonta sui cugini una realtà concreta, specie se a dare una mano in più arrivano Ranocchia e Pazzini: 33 punti nelle prime 13 gare sulla panchina nerazzurra, record di punti, intervallate dalla qualificazione ai quarti di Champions League nella rivincita della finale dell’anno prima col Bayern Monaco. In Baviera l’Inter gioca una partita epica, sembra di rivedere il vigore e la voglia della primavera precedente e Pandev risolve il match proprio sul filo di lana, regalando ai tifosi il ricordo più bello della stagione scorsa. La fiducia del gruppo sembra essere tornata su livelli d’eccellenza, Leo calato alla perfezione nell’ambiente nerazzurro interpreta la parte senza sbavature, senza presunzione, un compagno maturo che dispensa consigli utili più che un allenatore “canonico”. Tutto sembra andare per il verso giusto, sembra… Il 2 Aprile diventa il crocevia della stagione: la Scala del calcio ospita uno dei derby più infuocati degli ultimi anni: le lunghezze dai rossoneri si sono ridotte a 2 punti, la rimonta sui cugini è a un passo, Leo oramai un Giuda per il Diavolo. Pato fredda gli entusiasmi dopo un minuto, l’Inter si scioglie come neve al sole, incapace di accennare una reazione di sorta. Finisce 3-0. Poche chiacchiere, c’è la Champions. Ma la sfida coi rossoneri ha lasciato ferite ancora vive e lo Schalke 04, tre giorni dopo infierisce per ben 5 volte su una squadra improvvisamente smarrita, copia irriconoscibile di quella pre-derby. Leo è in discussione, ci s’interroga sul suo ruolo. Moratti inizia da accarezzare l’idea di affidargli una scrivania in Corso Vittorio Emanuele, magari come plenipotenziario nerazzurro in sede di mercato. Il brasiliano alimenta i dubbi, sembra smarrito, a parole sarà l’allenatore dell’Inter ancora per un anno ma nel calcio si sa, tutto può cambiare in un attimo. I nerazzurri chiudono la stagione al secondo posto e una Coppa Italia in bacheca, un bottino da ritenersi dignitoso, che poteva essere trionfale se non ci fosse stata quella che è stata ribattezzata la” settimana maledetta”. Il resto è storia recente: a metà Giugno la testa di Leo è già lontana da Milano nonostante le smentite di rito: il progetto PSG lo intriga, restituire blasone ad un club relegato all’anonimato nella Ligue1 potendo inoltre contare sui dollari dei nuovi proprietari del club rappresenta uno stimolo irrinunciabile, la scrivania torna nuovamente ad essere il suo habitat naturale. Così il 13 Luglio arriva l’ufficialità con tanti saluti e comunicati stampa. Ognuno per la sua strada, ognuno pensando a quello che poteva essere e che invece, chissà perchè… non è stato.