Quando la bandiera è nerazzurra…
La bandiera è un simbolo di appartenenza, ad una nazione come ad una comunità, ad un’istituzione come ad un’associazione. Per un tifoso di un qualsiasi sport, la bandiera significa identificazione con la propria squadra ma anche strumento attraverso il quale si veicola il proprio orgoglio nella scelta di quei colori, di quello stemma che entra prepotentemente nella tua vita e a cui non potrai più rinunciare. La bandiera per un tifoso non è necessariamente qualcosa di animato, infatti si può identificare come tale anche un dirigente, un allenatore o molto più facilmente un giocatore.
E’ uno status che non può essere considerato casuale, infatti per potersi fregiare di questo titolo è necessario guadagnare la fiducia dei propri tifosi e avere qualcosa di più rispetto agli altri, quel qualcosa che ti permette di entrare indelebile nella storia di quella squadra. La bandiera può avere l’aspetto di un leader o di un non leader, di un faticatore come di un talentuoso, di un impulsivo come di un razionale. Generalmente il giocatore maggiormente rappresentativo è rincondotto ad una figura ben precisa,il capitano, colui il quale è stato scelto dalla propria società e dal proprio spogliatoio come uomo simbolo dei propri colori, della propria storia, tuttavia esistono anche dell’eccezioni, perchè l’avere la fascia al braccio non è condizione imprescindibile per essere un simbolo di quei colori. Scrivere alcuni nomi pittusto che altri sicuramente scatena alcuni consensi ma anche molti dissensi, perchè per ciascuno l’idea di bandiera può essere diversa, chi intende come tale il giocatore nato e cresciuto all’interno di un determinato luogo e che gioca e lotta per la propria città, chi lo identifica come il giocatore più carismatico di un determinato periodo, chi il più grintoso, chi il più estroso. In genere l’essere bandiera presuppone una totale devozione alla propria maglia, più forte di tutte le lusinghe che possono provenire da altri club, più forte del richiamo del denaro e del successo. A volte invece si può diventare simbolo semplicemente per una prodezza, per una giocata particolarmente decisiva, per un gol in una finale.
Esempi del secondo tipo ve ne sono diversi, anche nella storia dell’Inter: da Roberto Baggio, talento indiscusso del calcio italiano e autentico faro in un’Inter cupa a Youri Djorkaeff, rimasto impresso nella campagna abbonamenti del 1998 con una splendida sforbiciata contro la Roma. Come scordare poi Ruben Sosa e il suo indimenticabile fulmineo sinistro e Ivan Zamorano e i suoi stacchi di testa. Tanti, troppi giocatori rimasti vivi nella memoria di ciascun tifoso per un gesto, per una particolarità.
Il primo tipo però è quello più interessante da analizzare, perchè rappresenta una figura sempre più rara all’interno del mondo del calcio. Abbiamo uomini nati e cresciuti con la maglia nerazzurra come Sandro Mazzola, bandiera da calciatore e poi da dirigente e comunque sempre rimasto con l’Inter nel cuore, Giacinto Facchetti, terzino e uomo esemplare dalla falcata elegante, giocatore prima e poi dirigente e presidente, Giuseppe Bergomi, un’intera carriera al centro della difesa di un’Inter dai molteplici alti e bassi. La storia nerazzurra ha conosciuto anche giocatori che sono transitati per un periodo più o meno lungo ma che sono rimasti stabili nel cuore dei tifosi nerazzurri: come dimenticare Walter Zenga, l’Uomo Ragno col cappellino, autentica saracinesca tra gli anni 80′ e 90′, Alvaro Recoba, dal mancino fatato offuscato però da un andamento altalenante, Marco Materazzi, autentico totem per i tifosi nerazzurri per la sua grinta e la sua determinazione.
Arrivando ai giorni nostri come non citare Cordoba, Cambiasso, Julio Cesar e Stankovic, gente sempre presente nelle vittorie come nei tanti momenti bui del passato. E poi ci sono quelle bandiere che sono state strappate troppo presto dall’Inter e che hanno strappato non poche lacrime ai tifosi, storie di grandi amori finiti nel peggiore dei modi: Ronaldo, pallone d’oro e autentica perla dell’attacco nerazzurro, curato amorevolmente dai medici e da tutto l’ambiente e fuggito al rumore dei soldi e della fama garantiti dal Real Madrid, Vieri, mister 90 milioni e 123 gol con la maglia nerazzurra e un idillio finito con il trasferimento al Milan e con una battaglia giudiziaria. Infine Zlatan Ibrahimovic, che avrebbe potuto esultare ancora chissà quanto tempo insieme ai suoi tifosi, la squadra per cui tifava da bambino sedotta e abbandonata per poter coronare un sogno con il Barcellona, quel sogno che il destino beffardo ha voluto si realizzasse a Milano.
Alla fine di questa parziale rassegna di bandiere sia positive che negative non si può non concludere con il nome che è il passato, presente e futuro dei colori nerazzurri, Javier Zanetti, un uomo che non è nato nell’Inter ma che ha recuperato il tempo perduto, ha saputo dire di no alle sirene di un Real Madrid bello e vincente in favore di un’Inter all’epoca perdente. Era la sua squadra, la sua famiglia e guardandosi negli occhi col presidente non ci pensò due volte a far prevalere il cuore sulla ragione. Ecco, quando vi si chiede di spiegare cos’è una bandiera, rispondete Javier Zanetti e andrete sul sicuro.