Dopo aver deciso di combattere il razzismo rifiutando di aderire alla campagna anti-razzismo della Lega prevista anche per la prossima giornata di Serie A, come reazione dalle sfumature infantili alla sentenza che lo scorso martedì ha assolto Acerbi dalle accuse di Juan Jesus, sul Napoli emerge un clamoroso retroscena.
A svelare i contorni di quanto avvenuto una settimana fa, ci ha pensato questa mattina La Gazzetta dello Sport. A differenza di Acerbi, che lo scorso venerdì è stato sentito dal Procuratore Chinè in videoconferenza da Appiano Gentile con la presenza di Marotta e dell’avvocato del club Angelo Capellini e con una ben definita strategia difensiva, Juan Jesus nella sua audizione con la Procura non è stato seguito da alcun legale del Napoli.
Ciò sottolinea, non solo ancora una volta la buona fede del calciatore che evidentemente era sicuro della sua versione, ma anche la leggerezza di un club che, se da una parte si scaglia contro la scelta del giudice sportivo, dall’altra non ha praticamente mosso un dito affinché la ricostruzione di Juan Jesus venisse ritenuta credibile.
Il brasiliano, che dinnanzi alla procura federale non ha portato con sé né prove né testimoni, ha dovuto affrontare il colloquio da solo e – probabilmente – senza gli strumenti adatti per poter dimostrare la propria credibilità. Anche solo nelle rilettura prima della firma sul verbale, senza l’appoggio concreto di un legale del Napoli, Juan Jesus avrà avuto non poche difficoltà a destreggiarsi tra terminologia giuridica di non semplice comprensione.
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