La serata del primato dell’Inter è una sinfonia di nostalgia e di beltà che da tempo non si ascoltava così dolce e sublime in quel della Milano nerazzurra: prima di ieri, 10 anni fa accadeva che, durante il girone di ritorno e nel pieno della maturazione del mito del Triplete, l’Internazionale scalasse la classifica e volgesse lo sguardo verso le altre 19 pretendenti dalla postazione più alta di tutte.
Il fatto di essersi affermati su un avversario insidioso e in salute come la Lazio – giunta in terra meneghina forte di 6 vittorie consecutive ed espressione di uno dei giochi più e meglio collaudati, nonché efficaci, dell’intera penisola pallonara -, e d’esserci riusciti a conclusione di una prestazione in cui è stato applicato ogni singolo paragrafo e capoverso del manuale della concretezza di Antonio Conte – attendismo analitico, solidità difensiva, ripartenze folgoranti – non è valso soltanto la vetta e il momentaneo sorpasso ai danni del Milan, ma è anche la prova di un’evoluzione costante di qualità che sta portando la squadra a riconoscersi nel ruolo di protagonista che sin dall’inizio della stagione le hanno cucito addosso.
Il ritrovato ordine sull’asse Skriniar-De Vrij-Bastoni, la direzione spigliata e filibustiera di Brozovic, e lo strabordante furore di Lukaku sono gli aspetti che hanno consentito e consentiranno all’Inter di continuare a proporsi come candidata principale per coronare l’obiettivo di spodestare la Juventus e ricucirsi sul petto un Tricolore tanto sospirato e rincorso sin dalla magnificenza dell’era Mourinho.
Se a quanto già menzionato si fosse potuto anche addizionare il supporto di San Siro, quale cattedrale ove ogni istante tinto di nero e di blu acquisisce un tocco di sacralità, senz’altro l’impatto emotivo sarebbe stato uno dei vantaggi competitivi maggiori da esercitare sugli oppositori, e avrebbe avuto un peso notevole nella – comunque già ben dimostrata – capacità di imporsi del gruppo guidato da Conte. Condividere emozioni e sussulti come quelli dell’altra sera con i tre Anelli gremiti e gli incitamenti e i colori della Curva Nord a fare da sfondo, avrebbe avuto un riflesso sicuramente indubitabile su risultati e classifica.
Il COVID ha ridimensionato la percezione di guardare alla realtà e di assaporare ciò che quest’ultima offre cada momento: in primis, ha mutato la genetica dell’aggregazione, capovolgendola da valore a danno, e ha bandito la spontaneità del ritrovo, codificandola e ponendole vincoli e privazioni. A risentirne maggiormente è stato proprio il pubblico del Meazza, che nel recente passato si è contraddistinto come il più presente d’Italia ed uno dei più affezionati d’Europa, nonostante il distacco da successi e coppe che l’Inter patisce da quasi un decennio e che l’ha estromessa dai blasonati circoli della vittoria.
Malgrado i tempi e le restrizioni perduranti, da diverse settimane e confermandosi ieri con un comunicato da brividi, la Nord ha colto il punto, come di consueto, e ha speso parole proverbiali perché lo sfoggio di un’identità – tappezzare di nerazzurro case, finestre, balconi, terrazze, ed ogni metro quadrato di Milano per rivendicarne l’appartenenza – diventi un monito di partecipazione di certo alternativo e non usuale, ma che attenendosi alla desolazione alla quale si è costretti risuona come un’eco di ribellione al silenzio della rassegnazione che la pandemia sta esigendo da troppo tempo.
L’importanza di poter contare sulle tribune di San Siro va di pari passo con l’auspicio che il supporto dell’assemblea interista possa ritornare ad esondare gli spalti del Meazza per accompagnare l’Inter alla gloria: trionfi come quello sulla Lazio cementerebbero ulteriormente l’alchimia tra gli uomini di Conte e i fedeli del nerazzurro, se soltanto il COVID si facesse da parte e permettesse di gremire i sediolini della Scala del Calcio con passione e sentimento, Ma il Derby chiama, e non c’è spazio per le lagne: la Storia non aspetta.
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