E’ bastato un protocollo. E’ bastato un protocollo come quello che – peraltro – era nell’aria da tempo. E’ stato sufficiente, cioè, che un Comitato tecnico-scientifico, nominato dal Governo, mettesse in fila alcune norme – particolarmente restrittive ma di cui chiunque poteva averne avuto sentore, nei giorni e nelle settimane precedenti alla loro pubblicazione – circa la ripresa dei campionati affinché quello che era stato descritto come il fronte inossidabile per la ripresa della Serie A si sgretolasse come ghiaccio al sole. Il fronte compatto, per intenderci, era – sino a oggi pomeriggio – il mondo del calcio, tutto, eccetto l’Assocalciatori. Gli antagonisti di questo fronte erano il Governo, Spadafora e le loro tempistiche che – secondo la comune opinione degli addetti ai lavori – del campionato di calcio se ne infischiavano allegramente.
Ora, però, dopo aver fantasticato per settimane sulle ipotesi dei maxi-ritiri, della ripresa dei campionati per il 13 giugno ma a condizioni iper-severe, e con la condizione fondamentale di interrompere per sempre il campionato in caso di una nuova positività – che significherebbe mettere in quarantena una squadra intera per un mese – qualcuno ha cominciato ad accorgersi che, messa così, la ripresa del campionato si fa complicata. Ieri, a sostenerlo, c’era solo l’Udinese: dopodiché, nella serata di oggi, si è arrivati a una spaccatura più netta, con l’Inter a fare da locomotiva e con Milan, Napoli, Cagliari, Verona, Atalanta, Sampdoria e Genoa ad accodarsi alla tesi dell’impraticabilità dei protocolli. Parentesi: da quel che trapela dai corridoi della Serie A, non è per nulla improbabile che il fronte degli scettici possa allargarsi ulteriormente. L’ipotesi del maxi-ritiro, per dire, pare impraticabile persino per una società come l’Inter, che al centro di Appiano Gentile possiede 27 stanze che, con le restrizioni anti-coronavirus, basterebbero a malapena ad ospitare i calciatori.
La Lega, dal canto suo, tende a dissimulare e la butta sul diplomatico. In una nota ufficiale, spiega che “domani mattina la Serie A, insieme ai vertici della FMSI (Federazione Medico Sportiva Italiana, ndr) e al dott. Nanni, si riunirà con la FIGC, per individuare insieme un percorso costruttivo di confronto con il Ministro della Salute, con il Ministro per le Politiche Giovanili e lo Sport, con il CTS, e giungere a un protocollo condiviso”: e in altre parole non fa che confessare come le distanze, tra le società di Serie A e le norme governativo-istituzionali, siano ancora massime.
I nodi da dirimere sono appunto quelli dell’applicabilità dei protocolli – ergo, occorrono norme meno stringenti di cui il Governo si assuma necessariamente la responsabilità – e occorre anche mettere ordine tra le battaglie parallele a quella tra governanti e squadre di calcio: e cioè, per esempio, quella tra l’Assocalciatori e i procuratori sportivi, divisi sul tema della ripartenza a tutti i costi. Con un occhio di riguardo anche alle richieste dei medici sociali: i quali, tempo fa, avevano fatto fronte compatto contro la ripresa della Serie A. E che ora potrebbero incorrere in responsabilità penali nel caso in cui un giocatore, un tecnico o un dirigente – anche uno solo – dovesse contrarre il virus, di qui a luglio. Resta da capire cosa succederebbe se, ad ammalarsi, fosse proprio un medico. Forse nessuno ci ha ancora pensato.
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