Storia di un interista qualunque…
Spesso i luoghi comuni sono detestabili, perfino irritanti se ci si sofferma sulla loro banalità. Spesso, ma non sempre. In uno di questi è impossibile non riconoscersi e recita pressapoco così: “nella vita si può cambiare idea su qualunque cosa: la politica, gli amici, le donne e perfino la religione, ma , solo una cosa non cambierai mai idea nella vita: l’amore per la tua squadra”. Comincia così la storia di un interista…
AMORE A PRIMA VISTA. Quando ogni cosa è una scoperta, la sincerità è un’esigenza perchè non ha incontrato la malizia, sei in una fase della vita che non conosce ragione e l’istinto guida le tue scelte, la dimensione del gioco che ti è tanto cara la vedi riflessa su un rettangolo verde, inizi ad appassionarti agli uomini prima che alle regole, al pallone prima che alle chiacchiere. L’infanzia è stata per molti di noi il momento della passione vera, senza filtri o condizionamenti, il tifo naturale conseguenza e probabilmente la prima, vera decisione importante di cui abbiamo memoria. L’amore per la tua squadra è essenzialmente un colpo di fulmine, un primo batticuore senza se e senza ma a cui senza motivo giuri fedeltà da subito. L’amore per l’Inter è fatto di tante storie, di tanti brividi lungo la schiena messi insieme, in tempi e luoghi diversi. Io sono nato con l’Inter dei record, con le figurine Panini, con i numeri sulle maglie in ordine, con Trapattoni in panca e la formazione titolare a memoria in testa. Ho amato immediatamente quegli eroi lontani ma reali, il nerazzurro è stato da subito il colore del mio sangue, mi bastavano 90 minuti incollato alla radiolina per sognare le sgroppate di Berti e le magie di Matthaus. IL SENTIMENTO CRESCE… E vennero gli anni bui. Mentre consolidavo la mia passione per quei colori, la mia Inter viveva una delle fasi più anonime della sua storia: dopo la Uefa conquistata dal Trap contro la Roma nel ’91 infatti poche gioie mi tornano in mente, ma sento ancora l’odore e la magia di quegli anni: nessuna analisi preventiva su chi e cosa non andasse, nessuna paura dei tanti derby contro il Milan indiavolato di Sacchi prima e Capello poi ma solo e solamente passione, forse irripetibile, magari anche condita dal sale dei ricordi, che non fa altro che alimentare i rimpianti per non aver potuto condividere successi che fortunatamente sono arrivati solo tempo dopo… L’ADOLESCENZA:PRIME SODDISFAZIONI. Quando ami l’Inter, poco importa se il dieci è sulle spalle di Benny Carbone o Roby Baggio: non c’è elemento che possa incrinare il rapporto con quei colori, ma se arrivano le vittorie…Passa davvero tanta acqua sotto i ponti prima di poter ammirare unanuova meravigliosa cavalcata, quella per intenderci culminata in una notte magica a Parigi nel ’98 e nella bruciante sconfitta di Torino, nello stesso anno, in una partita che non ha bisogno di altri commenti dopo i fiumi d’inchiostro, che, è il caso di dirlo, hanno reso tristemente memorabili quei novanta minuti. Era il periodo di Moratti, dei suoi sogni, della realtà chiamata Ronaldo, che di sicuro avrà colorato di nerazzurro la passione di tanti bambini che hanno avuto la possibilità di ammirarlo, della voglia di successo contro tutto e tutti, una compattezza che ha unito, se ce ne fosse stato bisogno, ancor di più tutti gli interisti. MANCINI, MOU E LA FELICITA’. La razionalità figlia della crescita ti rende lucido, forse più distaccato, ti pone interrogativi esistenziali, interminabili ragionamenti su chi sei e cosa vuoi. Eppure in mezzo a tante domande, la fede sportiva rimane lì, intatta, meno istintiva ma più cosciente di prima. L’Inter si avvicina così alla piena maturazione, in un percorso fatto di tappe, di domande su come fare, su come migliorare. La Coppa Italia, poi gli Scudetti in un crescendo di consapevolezza e assunzione di forza, come una creatura che trova la sua identità, la sua personalità, il suo equilibrio e la sua pazzia come marchio di fabbrica. Io posso dire di esserci stato, di essere stato insieme a loro, a quegli eroi che adesso vedo per quello che sono: uomini, non invincibili ma comunque incredibili. Sentirsi parte di quegli Scudetti, , sollevare insieme al Capitano la Champions al cielo,sentirsi un pezzo delle sconfitte come delle vittorie fa di un interista, un vero interista. Gli uomini passano, la squadra rimane, sarà anche questo un luogo comune, ma a pensarci bene, non mi sembra affatto una banalità.