Campioni, meteore, mancate promesse e tanto altro: la storia dell’Inter è ricca di profili che, in un modo o nell’altro, hanno lasciato la propria impronta. Ogni squadra ha il suo Pelé brasiliano, ma non è escluso che possa avere anche il Pelé portoghese. La rubrica “Che fine ha fatto?” di Passioneinter.com rivela qual è stato il destino di chi è riuscito a lasciare la sua traccia e di chi invece è passato inosservato. Oggi è il turno di Domenico Morfeo.
“Non ho mai visto nessuno di più forte”! A dire questa frase sono praticamente tutti quelli che hanno avuto a che fare con il giovane Mimmo Morfeo prima dell’esordio in Serie A. Il calciatore nato nel 1976 a San Benedetto dei Marsi, infatti, rappresenta il prototipo del numero 10 fatto tutto di genio e sregolatezza, con una certa insofferenza riguardante gli allenamenti ma con un talento naturale davvero notevole. Non a caso, ai tempi delle giovanili, in un’epoca in cui si stavano affacciando alla ribalta internazionale calciatori come Francesco Totti, Alessandro Del Piero e Andrea Pirlo, è proprio Morfeo quello che viene definito come l’elemento dal maggiore potenziale e a cui vengono date le chiavi dell’Under 21 di Cesare Maldini.
PRIMA DELL’INTER – Troppo facile, per uno con i piedi come i suoi, emergere tra i coetanei e conquistare trofei: con le giovanili dell’Atalanta arriva prima la vittoria del campionato Allievi nel 1991/92, poi la conquista del tricolore anche con la Primavera nell’anno seguente, quando il club nerazzurro trionfa anche nel Torneo di Viareggio e nel trofeo Dossena. I tempi sono maturi per l’approdo in prima squadra, con cui Morfeo riesce a trovare subito anche la via del gol, toccando anche la doppia cifra in Serie A nella stagione 1995/96. In estate l’Europeo Under 21 è la grande vetrina in cui potersi mettere in mostra e, contro la Spagna di Raul, è proprio Morfeo a realizzare il calcio di rigore decisivo con cui la nazionale di Cesare Maldini si laurea Campione d’Europa. È il momento per fare il salto di qualità e, infatti, arriva prima l’esperienza con la Fiorentina di Batistuta e poi con il Milan dei senatori Maldini, Costacurta, Boban e Weah, che nell’anno 1999, con Zaccheroni in panchina, vince anche lo scudetto, ma è un tricolore amaro per Morfeo che non riesce mai a trovare il suo spazio. Occorre ripartirecon umiltà, prima passando con Cagliari e Verona e poi tornando in Fiorentina e Atalanta, piazze che già conosceva e con cui torna a mettersi in mostra nei grandi palcoscenici. Sembrano maturi i tempi per una seconda occasione tra le big e, infatti, nell’estate del 2002 arriva la chiamata di Massimo Moratti che lo porta sulla sponda nerazzurra di Milano.
ALL’INTER – La seconda esperienza milanese di Morfeo, però, avrà lo stesso sapore amarognolo della prima: qualche presenza in più con l’Inter rispetto al Milan, anche due reti messe a segno, una a Roma contro i giallorossi di Capello e l’altra in Champions League contro il Newcastle, ma sostanzialmente il suo apporto non corrisponde alle aspettative. Anni dopo lo stesso Morfeo spiegherà i motivi delle sue due annate milanesi: “A certi livelli vengono fuori calciatori come Maldini e Zanetti per un motivo molto semplice: si allenano con ben altra testa, sono i primi ad arrivare e gli ultimi ad andar via; a me, invece, non piacevano molto gli allenamenti”.
DOPO L’INTER – Nel 2003 Morfeo è nuovamente sul mercato, dopo solo un anno, e trova casa a Parma; con il club ducale vive una seconda giovinezza, forse perché privato delle grandi pressioni che si vivono in una big: 5 stagioni, 96 presenze, 16 gol e una quantità innumerevole di assist che fanno la fortuna di attaccanti come l’Imperatore Adriano e Alberto Gilardino. Proprio il futuro campione del mondo 2006 affermerà in un’intervista “Giocare con Morfeo era una goduria, sapeva sempre in anticipo come mi muovevo e mi serviva alla perfezione”. Nel 2008 chiude l’esperienza col Parma e anche con la Serie A, scende in B con il Brescia ma il fisico oramai non regge più e, a parte qualche esperienza tra i dilettanti, tra cui quella con la squadra del suo paese, il San Benedetto dei Marsi, con cui segna 19 gol in 22 partite, decide di appendere le scarpette al chiodo e iniziare una nuova vita, quella dell’imprenditore.
CHE FINE HA FATTO – Il talento inespresso calcistico si trasforma in un fenomeno degli spritz: Morfeo ha investito i suoi proventi in diverse attività, tra cui ristoranti, locali e bar, nella città di Parma, una delle sue città preferite, evidentemente anche per i ricordi calcistici degli anni 2000. È un imprenditore ma preferisce essere definito semplicemente ‘un grande cameriere’, un capo che non si comporta da padrone ma che vuole dare l’esempio ai suoi dipendenti e che quindi veste il camice e serve ai tavoli. Un fenomeno degli Spritz e degli aperiti ma che, per sua stessa ammissione, preferisce non mettersi ai fornelli per mancanza di talento. Perché a uno come lui, che sostiene di aver lasciato il calcio senza alcun rimpianto, si può chiedere tutto, purché abbia a che fare col talento naturale, puro e cristallino. Poco importa se si tratta di un ristorante o dell’area avversaria.
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