Stramaccioni racconta Moratti: “Nel suo volto vedevi l’interismo. Che emozioni il giorno del confronto!”
L'ex tecnico dell'Inter ricorda la sua esperienza a stretto contatto con il patron nerazzurro in un racconto ricco di aneddotiLunghissima intervista concessa da Andrea Stramaccioni, ex allenatore dell’Inter, sulle pagine di Tuttosport. Il tecnico ha scelto di ricordare, in particolare, i giorni e gli istanti che hanno preceduto la sua firma con la prima squadra della Beneamata dopo un ottimo percorso con le giovanili.
MORATTI – “Nel suo volto vedevi l’interismo. Mai avrei mai immaginato che il presidente e suo figlio Angelomario prendessero un aereo privato per venire a vedere la finale di NextGen con l’Ajax. O meglio, io non lo sapevo e chi lo sapeva non me l’ha detto. Me lo ritrovai davanti uscendo dallo spogliatoio. Poi mi colpì il fatto che lui, invece di andare in tribuna con gli altri vip, si piazzò due file dietro alla panchina. Mi ritrovai col numero uno del club che respirava dietro di me. Visto quanto è accaduto dopo, ho capito perché”.
EPISODI – “Il trasferimento all’Inter è stato doloroso e piuttosto turbolento, dopo sei anni di Roma. La vicenda ha avuto una cosa surreale: arrivai in pompa magna a Milano, da predestinato ed allenatore più pagato delle giovanili. Ci fu la partita con il Tottenham: eravamo impreparati per quella competizione e perdemmo 7-1. Moratti riceveva costantemente aggiornamenti sulla gara e, al 6-1, chiese a Branca: “Ma questo qui è quello bravo?”. Dopo la vittoria ai quarti di finale con lo Sporting, fortissimo a livello giovanile, mi arriva una telefonata da un numero sconosciuto. “Sono il presidente Moratti” e io “Ma vai a cagare” e ho riattaccato. Era lui: mi richiamò subito dopo, mi scusai in ginocchio”.
LE STRANE IDEE – “La mattina dopo aver vinto con l’Ajax accendo il telefono e vedo che ho ricevuto duemila telefonate da Piero che mi dice “Andre, il presidente questa mattina ha delle strane idee ma, qualsiasi cosa ti dica, tu rifiuta”. Ausilio lo diceva perché mi voleva bene: l’Inter era una polveriera, aveva bruciato allenatori straordinari come Benitez, Gasperini e Ranieri e lui avrebbe voluto che seguissi un altro percorso partendo dalla Serie B. Gli risposi che non ero stupido, che sapevo che parlava così perché mi voleva bene ma io, un ragazzo di poco più di trent’anni che veniva dal nulla, come potevo rifiutare l’Inter? Mi sarei sputato in faccia per tutta la vita. Non sono un vigliacco, ho sempre lavorato per arrivare a giocarmi un’occasione così”.
IL COLLOQUIO – “Quando arrivò la convocazione dell’incontro, stavo andando a ritirare un premio con Samaden. Mi chiamò Ausilio e disse “Non dirlo neanche a Roberto, inventati una scusa e vieni qui”. Mi diede l’indirizzo, a Samaden dissi di un’emergenza e presi un taxi al volo. Richiamai Ausilio per chiedere spiegazioni, mi rispose in tono serio perché era in viva voce con Moratti. Dopo di lui chiamai mia moglie Dalila, che non era a Milano, e poi Bruno Conti: mi aveva scoperto alla Romulea, a lui ero legato in modo paterno. Da uomo straordinario qual è, sembrò addirittura più felice di me. “Io lo sapevo, lo sapevo perché te sei de qua, sei de là… Tu sei quattro giri avanti” mi disse”.
LA FIRMA – “Arrivo all’incontro. Oltre a Piero, ci sono il presidente, Angelomario e Branco. Dopo tre minuti di convenevoli, Moratti cambia tono, si tira giù gli occhiali, mi guarda, prende un blocco di fogli bianchi, una penna e pronuncia una frase che ricorderò sempre: “Allora mister, lei come la farebbe giocare questa Inter?” e mi dà blocco e penna. Dico quello che penso: con l’infortunio di Sneijder, il playmaker a centrocampo poteva diventare Stankovic, poi Chivu non poteva restare ai margini e Milito non poteva stare in ballottaggio con Pazzini. Dopo cinquanta minuti, la sentenza: “Sa che le dico, non me ne frega niente di quello che penseranno, ma lei è il nuovo allenatore dell’Inter”. Bam. Casco dalla sedia. Era successo l’impensabile”.
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