Sebastiano Vernazza, giornalista de La Gazzetta dello Sport, sulle colonne della Rosea commenta le vittorie ottenute ieri da Milan e Inter, appaiate in testa alla classifica, rispettivamente contro Lazio e Verona.
Ecco le sue parole: “Milano non si ferma. Milan e Inter avanti insieme, in testa al campionato. Quando l’aria del sorpasso era diventata un vento forte, con il Milan inchiodato sul 2-2 e con l’Inter sempre più capolista, in virtù della sua vittoria di prima sera a Verona, Theo Hernandez, ancora lui, ha abbattuto la Lazio e impedito ai nerazzurri di mettere il muso davanti. Un altro gol agli sgoccioli del terzino sinistro che segna come Aldo Maldera, suo antenato di fascia mancina, capace di nove gol in 30 partite nel 1978-79, la stagione del decimo scudetto rossonero, quello della stella. Hernandez è avviato sulla stessa strada, 4 reti in 13 gare, e con oltre metà campionato a disposizione la cifra è destinata a migliorare”.
Ali decisive: “Milano non si ferma ed è curioso che due terzini siano sempre più giocatori copertina, Hernandez nel Milan e Hakimi nell’Inter, ieri imprendibile al Bentegodi contro l’Hellas. Sette vittorie consecutive in Serie A, l’Inter ha il battito dello scudetto e non è una mera questione di numeri. C’è dell’altro, ci pare che Conte si sia liberato di certe sovrastrutture, che non gli importi più di entrare nell’élite dei tecnici illuminati e un po’ ‘piacioni’. Ha recuperato i suoi valori di mediano alla Oriali e li ha profusi alla squadra: applicazione, tenacia, fisicità. Soltanto Handanovic si è smarrito dentro un cross innocuo”.
La vittoria a Verona: “Questa è stata l’Inter del Bentegodi, contro un avversario tignoso e insidioso come il Verona. Conte si è specchiato nell’avversario – sistema identico, segno di adattamento – e verso la fine ha ordinato un cambio trapattoniano, a protezione del vantaggio. Ha tolto Lautaro e inserito Gagliardini, un centrocampista di contenimento al posto di un attaccante. Aveva operato una mossa simile domenica contro lo Spezia, quando ad uscire era stato Lukaku. Il messaggio è chiaro: basta filosofia e stop ai discorsi alati, si guarda alla classifica, i risultati sono il metro, il bel gioco è qualcosa di opinabile e non quantificabile. Una scelta forte, quasi esistenziale, e Conte ha il pieno diritto di farla. Quest’Inter monolitica, difficile da scalfire, non può permettersi la leggerezza e la spensieratezza, deve andare dritta all’obiettivo. Lo impongono gli investimenti della società e le attese e i desideri di una tifoseria che uscita dall’oasi del Triplete ha attraversato deserti. Conte lo ha capito ed è rientrato in se stesso, nei suoi abiti di tecnico realista. Immaginiamo che fosse questo il Conte che aveva in mente Beppe Marotta quando decise di ingaggiarlo, per cui vale la pena di prodursi nell’ultimo sforzo, accontentarlo nell’acquisto di un giocatore. Ci sembra che a quest’Inter di granito manchi una decorazione, un arabesco di qualità, ma lasciamo che sia Conte a scegliere. Oggi i risultati gli danno ragione, non c’è motivo di contraddirlo, ed è meglio evitare equivoci alla Eriksen. Lasciamo che Conte conteggi”.
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