Cresciuto calcisticamente nell’Estudiantes, Joaquin Correa ha mosso i primi passi negli ultimi anni di Juan Sebastian Veron come calciatore, avendo l’onore di condividere con lui per qualche tempo lo spogliatoio. In un certo senso il nuovo acquisto dell’Inter ha raccolto la pesantissima eredità della ‘Bruja’ nel 2012, diventando suo ‘figlioccio’ per il percorso che li ha accomunati. Diversi per ruolo ricoperto in campo, ma entrambi con l’Inter nel destino: l’ex centrocampista ha raccontato così le qualità del Tucu nell’intervista pubblicata in edicola questa mattina da La Gazzetta dello Sport:
E’ vero che Correa è il suo ‘figlioccio’?
“Diciamo che gli ho voluto, e gli voglio ancora, molto bene, che l’ho aiutato all’inizio e gli ho dato qualche consiglio. Ma il resto se l’è conquistato da solo, io non ho fatto proprio nulla”.
Che tipo di giocatore è?
“Una classica seconda punta. Poi può fare anche l’esterno o il trequartista, ma il suo ruolo naturale è quello di seconda punta. Lui si muove in base all’attaccante centrale, gli gira attorno, lo affianca, lo imbecca con sapienti passaggi perché El Tucu è anche un bravo assist-man”.
Dicono che assomigli a lei.
“Chi lo dice capisce poco di calcio. Io ero un centrocampista classico, lui è un attaccante. C’è differenza. In certe cose possiamo essere simili, è vero, ma il calcio un attaccante e un centrocampista lo vedono in modo diverso. Lui ha un’ottima visione di gioco e questa è una caratteristica difficile da riscontrare. Sa come e dove si deve sviluppare l’azione e si posiziona sempre in modo corretto sul campo”.
Ci racconti degli inizi di Correa nell’Estudiantes.
“Io stavo chiudendo la carriera e lui veniva dalle giovanili. Aveva un bel tocco di palla, aveva coraggio perché tentava il dribbling anche contro i difensori più cattivi e aveva il calcio in testa. Quando sono diventato dirigente l’ho seguito con attenzione. A volte ci fermavano a calciare le punizioni a fine allenamento e gli consigliavo come mettere il corpo, come tenere il piede, quanta forza dare al tiro. Correa ascoltava ed eseguiva. E alla fine l’allievo è diventato più bravo del maestro”.
Nell’ultima partita del 2012 Correa subentrò proprio a lei come un passaggio di consegne.
“Ricordo bene. Indossavamo una maglietta celebrativa. Sopra c’era scritto ‘Gracias Bruja’. Bruja è il mio soprannome. Non dimenticherò mai quel giorno. L’Estudiantes, per me, è come la mamma: mi ha dato la vita, mi ha dato il calcio. E Correa ha preso il mio posto, è vero. La gente, però, non ha capito subito che era un ragazzino e che non bisognava mettergli addosso pressione. Allora l’ho difeso spesso, e l’ho pure sgridato quando secondo me non faceva le cose giuste. Mi sono preso a cuore la sua carriera”.
Lo ha seguito alla Lazio?
“Ha fatto un ottimo percorso. Quando è arrivato in Italia ne avevo parlato con lo staff della Samp, la sua prima squadra. Poi, dopo una breve esperienza in Spagna, è sbarcato alla Lazio e sono stato felice perché è stata una delle mie squadre. E ora l’Inter, un’altra mia squadra. Quello che posso augurargli è di divertirsi come è capitato a me. L’Italia è la patria del calcio, lo dico sempre. Se diventi un grande in Serie A, sarai un grande ovunque: nella Liga, nella Premier, in Bundesliga. L’Italia è l’università del pallone. Lui conosce bene il campionato italiano, sa che le difese sono terribili, che le squadre sono tatticamente organizzate. E il fatto di avere questo bagaglio di nozioni lo aiuta a migliorarsi giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento. El Tucu è uno che ha sempre voglia di imparare”.
Qual è la caratteristica più importante di Correa?
“La capacità di mettersi a disposizione della squadra con i suoi movimenti. Non gioca da solo, ma gioca per gli altri e con gli altri. Non è un solista, un dribblomane. Tutto ciò che fa è finalizzato allo sviluppo della manovra, al collettivo”.
Il difetto maggiore?
“Lo so, ma non lo dico sennò faccio un favore ai difensori avversari… Comunque di difetti ne ha pochi. Lo ripeto: el Tucu ha il calcio dentro, e quando hai il calcio dentro difficilmente fallisci”.
L’Inter, dunque, ha fatto un affare.
“Non so quanti soldi abbia speso, però so che Correa è un grande attaccante che può aiutare l’Inter a difendere lo scudetto e ad andare lontano in Champions. E poi, cosa che non va mai trascurata, è un bravo ragazzo, uno che nonalza mai la voce e sta tranquillo”.
Là davanti, però, ci sono Dzeko e Lautaro: non sarà facile ritagliarsi uno spazio.
“L’Inter è impegnata in tre manifestazioni, ci sono tantissime partite e Simone Inzaghi, che lo conosce bene, sa come utilizzare Correa. Nel calcio moderno nessuno può giocare al massimo sessanta o settanta partite in una stagione: una rotazione è necessaria, soprattutto tra gli attaccanti che prendono tanti colpi e fanno scatti continui. Credo che Correa si integri perfettamente nella squadra nerazzurra”.
Partito Lukaku, sono arrivati Dzeko e Correa. Passo avanti o passo indietro?
“Premesso che, a meno che tu non abbia Maradona, nessuna squadra può basarsi soltanto su un singolo, penso che l’Inter abbia operato con saggezza sul mercato. Dzeko è un centravanti che fa reparto da solo, si muove, favorisce gli inserimenti dei compagni. Correa è uno che ama giocare tra le linee nemiche, dialoga con i compagni, triangola, crossa. Certo, Lukaku è un fenomeno, non possiamo negarlo, però non vedo un peggioramento. E poi una squadra non è composta solo da attaccanti, ci sono anche i centrocampisti e i difensori, e quelli dell’Inter mi sembrano molto bravi, a cominciare da Barella. Dunque non ho dubbi: con Correa è un’Inter ancora più forte”.
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