5 Maggio 2020

Veron: “La nostra era un’Inter nobile. Sono arrivato al momento giusto, rifarei tutto”

L'ex centrocampista argentino è oggi presidente dell'Estudiantes

Intervenuto insieme all’ex compagno Ivan Ramiro Cordoba su Inter TV, questo pomeriggio Juan Sebastian Veron in video collegamento ha rivissuto alcune delle tappe più importanti con la maglia dell’Inter. L’ex centrocampista argentino, dopo aver vinto tanto lasciando la maglia nerazzurra nel 2006, ha scelto di tornare in Argentina all’Estudiantes per poi intraprendere anche altre esperienze ed intraprendere sempre all’Estudiantes una nuova carriera dirigenziale a partire dal 2014.

Come hai trovato l’Inter all’inizio e come è cambiata?
“Sono arrivato con Mancini, quindi non so degli allenatori che c’erano prima. Quando sono arrivato conoscevo l’Inter e la sua storia. Essendo nel campionato italiano, prendendo la storia dal ’96, per me l’Inter era quella di Ronaldo, quella squadra che poi ha vinto la Coppa Uefa. Dopo il suo infortunio, l’obiettivo del club era quello di costruire un gruppo vincente. Per me da Cuper in poi hanno gettato i mattoni per costruire la colonna vertebrale di quello che è stato l’Inter da Cuper fino alla vittoria della Champions. Il presidente ha sempre creduto un calcio nobile, questa era la storia del club, vincere con merito. Vincere non è mai semplice, l’Inter ha avuto allenatori e calciatori intelligenti”.

Era una squadra che aveva tanta fame e tu avevi tanta voglia di riscatto. Era quella la forza dell’Inter?
“Sì, c’era tanto carattere nobile, molta solidarietà. Non bisogna diventare amici di tutti, ma ci deve essere rispetto. Quando c’è quello, puoi intuire che qualcosa sta nascendo e per me è successo quello. Siamo arrivati in un gruppo che stava già lavorando, non ero in un momento troppo felice della mia carriera, con più dubbi che altro. Ma sapevo che era una grande qualità che voleva fare la storia. Sono arrivato al momento giusto e dopo è successo quello che è successo. C’erano Stankovic, Cambiasso, Davids, Pizarro. Poi Figo, Van der Meyde, c’era molto movimento a centrocampo e giocatori con diverse caratteristiche. Quasi tutti si somigliavano, tutti arrivavano al gol. Una squadra deve avere un buon portieri, buoni difensori e quelli che stanno avanti devono far gol. Quel centrocampo aveva queste caratteristiche, c’era in tutto il reparto un po’ di tutto. Il centrocampo è il cuore della squadra, deve avere tutto e quello lo aveva”.

Tu sei andato via ed hai scritto la storia del calcio argentino, ma l’Inter ha continuato a vincere. Non ha pensato cosa sarebbe successo se fossi rimasto all’Inter?
“E’ sempre così, può succedere anche in Nazionale, ma la storia è quella che è. Si scrive in quei momenti e si scrive sul campo. Sono contento di aver conosciuto una grandissima società ed aver avuto grandi compagni. Aver vissuto un calcio che non tornerà mai”.

Che giorno rivivresti nella tua carriera?
“E’ difficile scegliere, nella tua partita trovi che avresti potuto la storia di alcune partite. Come Argentina-Olanda nel ’98, se non prendi il palo e prendi la porta forse cambia la partita e la tua storia in Nazionale. La storia è quella, con quello che succede e quello che non succede. Credo che in quel periodo lì alla fine doveva succedere quello, la Coppa Italia forse in un altro momento non la festeggi come l’abbiamo festeggiato noi, aveva un significato speciale, mettere il primo mattone per poi arrivare alla vittoria della Champions. La storia è quella, meglio lasciarla così perché se cerchi di cambiarla finisci per cambiare tutto il resto”.

Chi era il giocatore più divertente della tua Inter?
“Ogni squadra che si rispetta deve avere qualche matto. Uno era Christian Vieri e l’altro Kili Gonzales. Per vincere devi avere questi giocatori matti, perché solo con quelli seri e buoni difficilmente arrivi a vincere qualcosa, devi avere un po’ di tutto e un alto tasso di giocatori matti. Anche Francesco Toldo, Materazzi, Kili, Vieri, ce li avevi a parecchi”. 

Qual era il segreto dei tuoi lanci da 80 metri?
“Sono caratteristiche proprie dei giocatori, è una questione di stare sempre con il pallone, di calciare sempre. Ogni calciatore ha certe caratteristiche che con gli anni allena quelle doti e le migliora. Per me è stato così, non avevo il dribbling di Figo o la velocità che aveva Ivan, ma avevo un buon calcio”.

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