19 Maggio 2020

Zamorano e Recoba ricordano: “All’Inter anni meravigliosi. La Coppa Uefa del ’98 il momento più bello”

I due ex nerazzurri hanno parlato della loro esperienza a Milano

Nella puntata odierna di Inter Calling sono stati ospiti Ivan Zamorano e Alvaro Recoba. Due vecchie glorie nerazzurre, che si sono concesse in un’intervista piuttosto originale e divertente. Sempre nel cuore dei tifosi, i due ex calciatori hanno raccontato la loro esperienza a Milano e i segreti dei loro successi. Tra gli aneddoti e le battute, hanno ricordato le quattro stagioni giocate insieme, culminati con la vittoria della Coppa Uefa nel 1998.

I PRIMI CALCI DI RECOBA – Mio padre, quando eravamo bambini, diceva che in casa poteva esistere solo il pallone di cuoio. La palla doveva essere dura, mai calciare quelle più leggere di plastica e naturalmente, quando ho iniziato a giocare, ero già più forte. Colpivo sempre forte la palla e mi è capitato di ferire anche qualche portiere!”.

ARRIVO A MILANO DEL CHINO – “Quando sono arrivato all’Inter mi sono ritrovato con questi giocatori che erano i migliori del mondo. Penso a Bam Bam, Simeone, Ronaldo stesso, Bergomi, Pagliuca e anche agli avversari. Era incredibile pensare di essere arrivato lì, è qualcosa che se mi fosse stato detto quando ero un bambino non ci avrei creduto. Sicuramente il calcio mi ha dato tanto, anzi ha dato a tutti noi, credo, molto più di quanto pensassimo”.

ZAMORANO, COLPITORE DI TESTA NATO – Quando sei piccolo, cerchi sempre di fare progressi. Sapevo di avere una virtù, che era il colpo di testa, e ci ho lavorato. Da bambino mia madre aveva un lampadario nel corridoio di casa, del nostro appartamento da dove pendeva una specie di piccolo fiore artificiale, che era piccolo, circa 30 centimetri più in basso. Mi allenavo a colpire il fiore di testa, giorno dopo giorno”.

DAL SALOTTO DI CASA A SAN SIRO – “Se tu hai una dote e giochi con calciatori come il Chino, come Ronaldo, come Baggio, Moriero, devi sapere perfettamente che bisogna essere pronti per cercare di finalizzare la giocata. E quello, naturalmente, è una mia dote, cioè il colpo di testa: sapevo perfettamente che la palla sarebbe arrivata in area, non dovevo far altro che buttarla dentro”.

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