Zanetti: “Mourinho iconico, in estate ci disse: ‘Che ne dite, proviamo a fare la storia del club?'”
Lo storico capitano nerazzurro si racconta in un'intervista densa di ricordiIn occasione del decimo anniversario della vittoria dello Scudetto nell’anno del Triplete, Javier Zanetti ha rilasciato una lunghissima intervista ai microfoni di SportWeek per ricordare quell’annata. Eccone la prima parte (qui la seconda).
Mourinho – “Ero a Fiumicino, stavo per imbarcami per l’Argentina con mia moglie Paula. Squilla il telefono, vedo un numero portoghese. ‘Boh’, penso. Rispondo. Ascolto una voce, in italiano: ‘Sono José Mourinho, ho appena firmato per l’Inter, scusami se non parlo benissimo, sei la prima persona che chiamo. Conto su di te, sarai il mio capitano’. Finisce la chiamata, guardo mia moglie e le dico: ‘Paula, è successa una cosa incredibile'”.
Foto iconica – “Facile: quando entriamo in campo al Bernabeu per fare riscaldamento, l’immagine dei nostri tifosi, la spinta perfetta per coronare il sogno.Non posso dimenticare”.
Addio Ibra – “Eravamo a Los Angeles, dopo l’amichevole col Chelsea arrivò la notizia. Se ne parlava, non fu un fulmine a ciel sereno. E comunque, per uno che andava via, da noi stava sbarcando Eto’o. Insomma, la squadra non
era mica depressa”.
Distanza col gruppo – “A me non risulta. Fu una sua scelta andare al Barcellona, non ci fu molto altro dietro. Noi con Ibrahimovic avevamo vinto negli anni precedenti”.
Discorso Mourinho – “In ritiro ci spiegò il progetto: ‘Abbiamo trionfato in Italia. Ora dobbiamo fare qualcosa in più. Che dite se proviamo a fare la storia di questo club?’ Poi nelle conferenze stampa dava il meglio di sé: tutta la sua personalità emergeva. Parlava chiaro, nello spogliatoio e fuori. A noi non restava che dargli ragione in partita”.
Terzino destro nella sua top11 – “Merito suo… Per me è un orgoglio. Con lui sono migliorato. Non ho mai avuto tanta fiducia in me stesso come con lui allenatore. Ho capito presto che, se avesse avuto bisogno, mi avrebbe schierato in qualsiasi ruolo. Mi creda: questa cosa qui per un calciatore è il massimo”.
Moratti-Mourinho – “Mah… vuole la verità? Quando avevamo problemi non andavamo né dall’uno né dall’altro. In quella squadra io ero il capitano, ma altri avevano già rivestito lo stesso ruolo nei club o in nazionale. Insomma: i guai ce li vedevamo e risolvevamo tra di noi. Anche litigando”.
Lite prima di Barcellona-Inter – “Perché mi chiede di quella discussione e non di un’altra? In quella stagione litigammo tra di noi mille volte, c’erano personalità fortissime.Magari era solo un modo di scaricare la tensione…”.
Partita simbolo in Champions – “In Champions a Kiev eravamo fuori, all’intervallo Mourinho ci disse: ‘Ragazzi, o restiamo così e usciamo, oppure rischiamo’. Rischiammo e vincemmo. Ma se devo indicare una partita, dico la gara col Chelsea a Londra. Il sabato precedente avevamo perso a Catania, c’erano mille polemiche. Ci può essere risposta migliore di quella che la squadra diede a Londra? No. Il blocco era unico”.
Passaggio al 4-2-3-1 – “Fu una svolta importante, sicuro. Ma, con i giocatori che c’erano, oggi posso dire che avremmo vinto comunque, con qualsiasi modulo”.
In Coppa Italia – “La semifinale di ritorno a Firenze. Quattro giorni prima avevamo giocato sullo stesso campo: pareggio in campionato, la Roma ci aveva sorpassato in testa alla classifica. Vincemmo noi, gol di Eto’o, andammo in
finale: fu un segnale, l’ennesimo”.
In campionato – “Come simbolo direi Inter-Juve: la prima partita da secondi in classifica. In teoria avremmo potuto mollare di testa, invece neppure per idea. Il segreto era non dare nulla per scontato. Ci facemmo un discorso, nello spogliatoio: ‘Se perderemo, sarà solo perché gli altri avranno dimostrato di essere più forti’. Ma nessuno di noi si sentiva meno forte di un qualsiasi avversario, in quel periodo”.
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