Zanetti: “Sono rimasto fermo un anno dopo il no dell’Independiente. Grazie ai sacrifici dei miei sono arrivato nel calcio che conta”
La seconda parte della lunga intervista al Corriere dello Sport del vicepresidente nerazzurroNella lunga intervista rilasciata al Corriere dello Sport, Javier Zanetti ha ripercorso le tappe iniziali della sua carriera: “In Argentina c’è una grandissima passione per il calcio, si comincia a giocare per strada. La mia infanzia l’ho vissuta in un quartiere molto umile di Buenos Aires. Con tutti i miei amici, figli dei vicini di casa, ci riunivamo in un campetto di terra battuta e lì abbiamo iniziato a dare i primi calci. Oppure li invitavo a casa mia che non era abbastanza grande però c’era un minuscolo cortile dove fingevamo un campetto e giocavamo. La mia prima squadra si è chiamata Disneyland. E’ stata un’idea di mio padre. Con i vicini di casa hanno deciso di raccogliere dei fondi per fare un campo a duecento metri da casa mia. Era in questo piccolo club che si chiamava Disneyland e volevano farlo diventare non più di terra battuta ma di cemento. Ho passato tanti anni a giocare lì. Papà era muratore e per questo gli venne in mente quest’idea. Era lui che guidava tutto il team”.
Sulla famiglia: “Ho vissuto molto da vicino tutti i sacrifici che avevano fatto mio padre e mia madre per non farci mancare nulla. Io ho un fratello più grande, i miei ci hanno permesso di studiare, di giocare a calcio e di crescere sereni. Quando ho avuto il primo stipendio, sono tornato a casa e quando eravamo tutti a cena ho detto loro di non lavorare più. E’ stata la cosa più bella che mi potesse capitare”.
Il no dell’Independiente e l’addio momentaneo al calcio: “Sono andato lì perché sono tifoso di quella squadra in Argentina. Ho iniziato a giocare lì ma dopo cinque anni mi hanno detto che non potevo proseguire perché non crescevo. Il che era vero per l’età che avevo. Sono rimasto male perché non me l’aspettavo. Sono restato fermo un anno, senza la possibilità di provare da un’altra parte. Così mi misi a lavorare in cantiere con mio padre. Un giorno, mi ricordo benissimo, stavamo demolendo un muro e ad un certo punto mio padre si ferma e mi dice di provarci ancora. E’ stato un segnale, un messaggio in quel momento di cui avevo bisogno. Mi ricordo che il giorno dopo ho parlato con l’agente del Talleres che mi ha fatto fare un provino e da lì è iniziata la mia carriera. Avevo quattordici anni e forse fare il muratore mi ha anche aiutato a irrobustirmi”.
Quanto si è sacrificato Zanetti? “In quella fase mi alzavo alle quattro del mattino perché distribuivamo il latte nei supermercati. Alle otto del mattino entravo a scuola, uscivo all’una e nel pomeriggio facevo gli allenamenti. Il sacrificio ha contato tantissimo e conta tutt’ora. E conterà per sempre. Perché soltanto così io penso che riesci a dare valore a tutte le cose che ti capitano. Man mano che cresci riesci a capire il valore di tante piccole cose che magari diamo per scontate e che invece sono fondamentali. E questa educazione che mi hanno dato i miei è stata una cosa molto importante”.
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