La seconda parte dell'intervista al vicepresidente nerazzurro a Verissimo
Javier Zanetti, vicepresidente dell’Inter, a Verissimo ha parlato della sua esperienza in nerazzurro e dei suoi sogni e aspettative per il futuro. Ecco le sue parole:
PARTENZA DALL’ARGENTINA – “Non mi aspettavo di partire dall’Argentina e arrivare a giocare subito nell’Inter e l’Inter è diventata la mia famiglia, sul profilo umano ha sempre un occhio di riguardo per questo ed è per questo che sono ancora qui“.
ADDIO – “Volevo che quella notte non finisse più, ho dormito pochissimo, sapevo che sarebbe stata una grande emozione. C’era la mia famiglia, c’erano tutti i miei tifosi e tutto quell’amore resterà sempre nel mio cuore”.
SOPRANNOMI – “El Tractor è quello che avevo quando sono arrivato all’Inter. Pupi per la mia fondazione, il capitano e tutti mi chiamano così ancora oggi, diciamo che nessuno mi chiama vice presidente, ma va bene così“.
PANTALONI DI RICAMBIO – “I muscoli delle gambe a volte mi fanno brutti scherzi e i pantaloni si strappano: diciamo che bisogna sempre avere un piano b”.
ESEMPIO – “
Credo che siamo degli esempi per tanti bambini e il comportamento che abbiamo in campo e fuori lo vedono i bambini. Dobbiamo stare molto attenti, abbiamo una grande responsabilità“.
LITIGIO CON HODGSON – “All’inizio ho avuto un litigio con un allenatore, Hodgson, perché mi tolse da una finale in cui stavo giocando bene e non capii che mi tolse perché si stava per andare ai rigori. Aveva ragione lui, in quell’occasione ho sbagliato“.
DA GIOCATORE A DIRIGENTE – “
E’ stata la cosa più difficile stare tutti i giorni con giacca e cravatta. Un’altra vita, mi volevo confrontare con un’altra tappa, poter conoscere un aspetto diverso dal calcio.Tutti pensavano che sarei stato legato alla parte solo sportiva, ma io volevo avere una visione a 360°, giro tanto per il mondo per valorizzare il brand dell’Inter, ci teniamo tanto per la crescita del club. Voglio anche trasmettere i valori che mi hanno accompagnato durante la mia carriera. Sono anche andato alla Bocconi perché era importante tornare a studiare all’università. Mi piace perché conosco un altro aspetto che mi arricchisce come persona, mi fa imparare tanto: spero di lasciare la mia impronta anche come dirigenza“.
ALLENATORE – “Non l’ho mai sentito, non ci ho mai pensato. Anche parlando con Paula, credo che il mio profilo sia più adeguato ad una carriera da dirigente che da allenatore“.
LIBRO – “Il messaggio che voglio trasmettere è che oltre alla competenza ci vogliono i valori umani per fare la differenza: questo mi ha aiutato come calciatore e mi sta aiutando come dirigente“.
SPOGLIATOIO – “Nei momenti di difficoltà sono i più complicati, a me da capitano piaceva il dialogo e quando c’era un problema lo affrontavamo tutti insieme pensando sempre e solo alla cosa più importante: il bene della squadra. Quando magari c’è un lungo periodo negativo, si facevano riunioni e parlavo per primo, ascoltavo i miei compagni e dopo si prendeva una decisione per il bene della squadra ed è quello che ti fa vincere. Facevo tanti scherzi, soprattutto a Nagatomo. Appena arrivato all’Inter, l’ho fatto cantare e ballare sulla panchina dello spogliatoio. Lui era appena arrivato e non poteva opporsi. Dopo siamo diventati tanti amici”.
SOGNO – “Innanzitutto la vittoria dell’Inter contro la Roma. Parlando seriamente, il sogno è la felicità dei miei bambini, che abbiano un grande futuro“.