Un bottino di ben 5 punti perso nell’arco di 180 minuti più recupero sull’asse Genova-Roma, per l’Inter equivale ad un gigante rammarico se si pensa alla possibilità che avrebbe potuto valere il primato – considerando la caduta del Milan durante la scorsa giornata -, e ad una notevole preoccupazione se incasellato nella corsa Scudetto e nella partitissima di domenica contro la Juventus.
In un testa a testa con i rossoneri che si sta rendendo sempre più avvincente e che ad oggi sorride alla squadra di Stefano Pioli, smarrirsi nella timidezza di un solo punto in 2 gare non è ammissibile, né giustificabile, ed anzi è un campanello d’allarme che non può non sgomentare.
Aggiungendoci, poi, una Juve che pare aver ritrovato compattezza e continuità, e che ha ancora la sfida al Napoli da recuperare, allora l’illustrazione diventa maggiormente angosciante, di più nella prospettiva che Pirlo e compagnia saranno di visita a San Siro in un incontro che, soprattutto per i nerazzurri, ha già le tonalità di una finale.
Eppure, a dispetto dei tabellini, l’Inter non ha nemmeno così tanto demeritato: se al Marassi la Sampdoria aveva interrotto la striscia di vittorie consecutive ma non aveva completamente sbiadito l’immagine di una formazione che per ampi sprazzi dava segni di dominio, il pareggio all’Olimpico contro la Roma di domenica è lo specchio di ciò che è la creatura di Antonio Conte in data odierna, ovvero un incrocio fra estro e qualità – vedi Hakimi, Lautaro e Lukaku – ed inadeguatezza e indolenza – leggere alla voce Gagliardini e Perisic.
Proprio al tecnico salentino, bersaglio dei disappunti del popolo interista, più che rimproverare la opinabile gestione delle sostituzioni e la scarsa capacità di interpretare le partite in itinere, andrebbero chiesti lumi sul perché, a distanza di mesi, non sia riuscito a trovare il giusto bilanciamento in una rosa che annovera titolari di primissima levatura che ruberebbero la scena in qualsiasi piazza, e seconde linee tra le quali alcune faticherebbero ad entrare addirittura nelle distinte delle principali compagini europee.
Pur consapevoli che gli alibi addotti da Conte – stanchezza dovuta agli impegni decisamente troppo ravvicinati, e mancanza di alternative che consentano alle prime scelte di rifiatare – reggano e ne avallino le decisioni, quello che diviene complicato da spiegarsi è la ragione di variazioni tecnico-tattiche a gara in corso che appaiono più come forzature per portare avanti le sue convinzioni calcistiche, che modi per migliorare e/o correggere le configurazioni iniziali.
Infatti, persistere con moduli che certifichino la forma mentis di cui si fa portavoce, non sta aiutando Conte nell’operazione di persuadere tifosi, commentatori ed opinionisti che la sua visione sia quella più attinente la modernità del Calcio. E questo indipendentemente dall’esito finale di un incontro, in quanto anche durante le 8 vittorie di fila ci sono stati momenti di incomprensibilità nelle valutazioni dell’allenatore leccese.
Su tutti, i sofferti successi su Napoli e Spezia avevano già acceso la spia di un malfunzionamento nei meccanismi contiani: aver concesso l’ultimo quarto d’ora di assedio a partenopei e liguri, a fronte di sostituti non corrispondenti alla funzionalità dei sostituiti, ha accantonato il tentativo seppur riuscito di difendere il vantaggio e ha consegnato ai taccuini degli osservatori un’Inter arroccata e timorosa.
Così come successo a Roma l’altro ieri, dove dall’inizio della ripresa fino all’uscita di Lautaro e di Hakimi – più che agli ingressi di Perisic e Gagliardini -, gli uomini di Conte erano sembrati in assoluto controllo, grazie a rapidità di esecuzione, ampiezza di manovra, e prontezza di anticipo, per poi trovarsi a soccombere rischiando quasi di incappare nella disfatta di una sconfitta che avrebbe avuto i contorni della beffa.
Adesso, concentrazione ed energie dovranno essere profuse per il doppio banco di prova che risponde al nome di Fiorentina in Coppa Italia e Juventus domenica sera, sperando che si rivelino non solo rosee, ma principalmente entusiasmanti per il divenire della stagione. Sempre che Conte non prosegua sul solco battuto ultimamente, checché ne dica lui.
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