EDITORIALE – Da dove ripartire
Commentare l’ennesima sconfitta dell’Inter in stagione è maledettamente difficile, questo è fuor di dubbio. Specie perché è arrivata da una partita approcciata malissimo, rimessa in carreggiata grazie sostanzialmente a uno spunto multiplo di Palacio – strepitoso nel dettare la giocata giusta a Kondogbia – e poi persa senza aver di fatto creato grattacapi alla Fiorentina […]Commentare l’ennesima sconfitta dell’Inter in stagione è maledettamente difficile, questo è fuor di dubbio. Specie perché è arrivata da una partita approcciata malissimo, rimessa in carreggiata grazie sostanzialmente a uno spunto multiplo di Palacio – strepitoso nel dettare la giocata giusta a Kondogbia – e poi persa senza aver di fatto creato grattacapi alla Fiorentina nella ripresa e difendendo male come nella prima parte del primo tempo (forse si può derubricare la scarsa vena dei viola dopo il gol di Brozović anche a un normale shock post traumatico da gol subito, peraltro. Perché i postulati tattici per continuare a subire sono rimasti inalterati quasi del tutto).
Il quadro complessivo della sfida, tuttavia, risulta meno negativo di altre volte e sicuramente non si può dire che la squadra di Sousa abbia dominato in senso stretto, per quanto abbia fatto vedere di più e di meglio dell’Inter, anche perché alla fine la contesa è stata decisa da un gol episodico – anche se figlio di alcuni temi tattici ricorrenti lungo l’arco dei 90’. È fuori di dubbio anche come gli episodi girino male ai nerazzurri in questo momento tanto quanto avevano girato nel verso giusto a inizio stagione ma non è una scusa sufficiente per i risultati conseguiti fin qui nel 2016.
La verità è che l’Inter non ha saputo sfruttare il periodo in cui tutto sembrava funzionare nonostante il gioco del Biscione fosse limitatissimo per lavorare nel modo giusto su un’identità di squadra e una manovra più coerenti che potessero garantire continuità di risultati nel momento in cui il risicatissimo playbook nerazzurro fosse divenuto completamente leggibile (e arginabile) dagli avversari. Oggi, visto quel che è accaduto negli ultimi sessanta giorni, questa leggerezza sembra essere diventata un peccato mortale difficilmente perdonabile. Come ulteriore aggravante, c’è anche il discorso della classifica: a livello strettamente numerico siamo ben lontani da una compromissione totale degli obiettivi societari ma la visione d’insieme sul momento della squadra rende inclini ai pensieri più foschi perché, di contro, ci sono una Roma e un Milan in netta ripresa e la stessa Fiorentina potrebbe sfruttare l’onda emotiva del successo sull’Inter per fare dei passi in più verso la ripresa completa. In parole povere, tutte le dirette concorrenti sembrano stare decisamente meglio dei ragazzi di Mancini.
Il Mancio, peraltro, è al momento l’indiziato numero uno nonché capro espiatorio per quanto concerne il crollo verticale dell’Inter: può sembrare semplice accanirsi contro il tecnico ma, a differenza degli anni scorsi, quando si sono avvicendati allenatori che non sembravano poter avere chissà che voce in capitolo a livello di scelte di mercato o sufficiente malizia nel trattare coi media, il mister jesino è considerato un manager (usiamo un anglismo così è contento) di alto profilo, capace non solo o non tanto di vincere, quanto di costruire squadre sempre competitive operando le scelte giuste sia a livello tecnico, sia mediatico, sia di mercato.
Accontentato in tutti i modi possibili e lasciandogli carta bianca più o meno su tutto, Mancini non è stato tatticamente in grado di andare oltre all’idea della compressione territoriale, delle sovrapposizioni sistematiche dei terzini e di mettere in piedi una difesa arcigna e solida che, attualmente, non lo è neanche più. Del resto, alcuni grossi difetti della compagine sono emersi con una regolarità preoccupante negli ultimi tempi: l’incapacità di portare un pressing efficace agli avversari per più di una decina di minuti (quando va bene), un certo scollamento tra i reparti che inchioda alla difesa Medel e costringe Brozović e Kondogbia a coprire porzioni di campo vastissime nel cercare di rendersi utili in entrambe le fasi, la stessa inconsapevolezza delle due mezzali su quali movimenti fare per aiutarsi efficacemente sia in fase di possesso sia in fase di non possesso, la quasi totale assenza di movimenti senza palla verso la profondità degli attaccanti, i pochissimi inserimenti pericolosi dei centrocampisti, l’inutilità manifesta della maggior parte delle scelte sui calci piazzati (il noto dramma dei corner corti su tutti).
Viene quasi da chiedersi come si allenino i nerazzurri ultimamente e cosa provino ad Appiano perché gli sguardi inebetiti dei giocatori ogniqualvolta si trovano in possesso della sfera e l’atteggiamento alla “spera in Dio” del portatore (chiunque egli sia in quel momento), condito da un’incertezza continua su a chi passare e come, appaiono come sintomi di una inconsapevolezza diffusa nella gestione di palla che, in questo momento della stagione, è davvero sconcertante. Come non menzionare, poi, l’evidente calo fisico generale?
Tutto questo, unito ai risultati deludenti, ha senz’altro agito sulla psiche dei giocatori, che rischiano seriamente di disunirsi ancor di più a causa della frustrazione di partita in partita, soprattutto a causa di alcune sconfitte che, per un motivo o per l’altro, avrebbero potuto essere tranquillamente evitate facendo non tanto di più di quanto fatto effettivamente (Sassuolo, Milan, Fiorentina stessa) e che invece pesano come macigni sul morale.
Provare a ricostruire un’identità tecnico/tattica più chiara alla squadra pare ormai impossibile per questa stagione, dunque Mancini dovrebbe provare a ricominciare la “restaurazione” partendo dalla voglia di vincere dei suoi uomini e cercando un modo per restituirgli la cattiveria agonistica di inizio anno, quella che portava i calciatori a vivere ogni uno contro uno come se fosse cruciale per le sorti della partita. Il vertice basso della parabola del calo fisico sembra essere alle spalle ma anche provare a recuperare il prima possibile la freschezza atletica potrebbe essere una buona mossa, magari cercando di rispolverare un atteggiamento più guardingo e sparagnino e puntando di più sulla capacità di ripartire efficacemente, magari accantonando per un momento un Éder spaesatissimo e riproponendo invece Perišić, più abile nelle due fasi.
In fin dei conti, quello che si chiede a quest’Inter, visto l’attuale stato dell’arte, è recuperare la grinta e la determinazione di inizio anno, così come la capacità di soffrire. Il terzo posto appare oggi come un miraggio abbastanza lontano nonostante i punti siano solo quattro ma è ancora possibile, per quanto difficile, invertire la tendenza – se non a livello di risultati, perlomeno di atteggiamento: se questo sarà buono, i punti ne saranno una conseguenza diretta, a lungo andare. Se non tutto, moltissimo è dunque nelle mani di Roberto Mancini: tocca a lui e a lui solo risollevare un ambiente che negli ultimi due mesi è passato dallo star vivendo un sogno inatteso a frammenti di cupa disperazione. Anche perché, stavolta, di alibi ce ne sono davvero pochi.