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L’INTERTINENTE – Consapevolezza e maturità: l’Inter di Conte spiegata in 2 semplici (ma non scontati) concetti

C’è da ammetterlo: la scioltezza con la quale l’Inter ha avuto la meglio sul Genoa nel primo tempo – a ritmo di fraseggio sciolto e di fluide linee di gioco – sbloccando immediatamente il risultato e ponendolo su binari favorevoli, e si è successivamente impadronita della gara nella seconda frazione, finalmente non vanificando la massiccia dose di occasioni prodotte, ha stupito (ed ammutolito) gli scettici e ha sbalordito finanche chi in questa squadra ha iniziato a credere da molto prima della prepotente prova di forza contro il Milan della scorsa settimana.

Conte (@Getty Images)

Non perché non si confidasse a sufficienza nelle capacità di una rosa comunque competitiva – soprattutto guardando all’undici titolare -, ma quanto perché alle assolte richieste di maggiore qualità e di predisposizione al sacrificio – da troppi anni sconosciute nei paraggi della Pinetina, sino all’estate del 2019 – dovevano seguire due componenti che sembravano esclusiva della leggenda del Triplete: consapevolezza nei propri mezzi e maturità.

Le volate di Lukaku, i doppiassi di Martinez, la loro complicità, il loro furore agonistico e realizzativo, la direzione proverbiale di Brozovic, l’atteggiamento calcistico da veterano di Barella, il recupero mentale e tattico di Skirinar, sono tutte fasi di un processo che parte da lontano e che non può essere minimizzato come un semplice stato di grazia, o come conseguenza di un’annata felice: per la prima volta dopo oltre un decennio, l’Inter si sta rendendo effettivamente conto che essere una minaccia per il monopolio della Juventus non sia un’ambizione di altre, ma che le appartenga storicamente e che possa addirittura rovesciarlo.

Sebbene i disfattisti di principio possano storcere il naso, Antonio Conte è il promotore indiscusso di questo rinnovamento nerazzurro nella carne e nello spirito: riuscendo a trasformare la foga di successo in pianificazione della e alla vittoria – che apparentemente sembrano sinonimi, ma che agli occhi della gloria sono agli antipodi -, il sergente salentino ha esaudito l’intento che fu di molti suoi predecessori e che – Spalletti a parte, per alcuni tratti della sua esperienza meneghina – si è sempre concluso in angosciante fallimento, ovvero ridonare all’Inter un profilo accattivante, granitico, insidioso, temuto. Insomma, un‘impronta di livello elevato che ben si adattasse ad una lotta Scudetto e ad aspettative di affermazione europea.

Malgrado in diverse circostanze sia stato tradito dalla sua stessa catechesi tattica – l’epurazione interista dall’Europa delle coppe è oggettivamente una nota inesatta nello spartito di una stagione che potrebbe rivelarsi esaltante -, un’intuizione in extremis ne ha smussato anche questa inclinazione: la rivisitazione della purezza balistica di Christian Eriksen in una versione conforme alle regole contiane.

Non è un caso, infatti, che moduli e strategie siano stati armonizzati dallo spessore del danese, che insieme a Brozovic irradia e tesse come pochi. L’ordine del talento e il talento dell’ordine: caratteristiche che Christian ha coltivato sin dai suoi iniziali passi ad Appiano Gentile, e che Conte ha – viva Dio! – deciso di riflettere sul campo.

E poi c’è la maturità, appunto: quella che deriva da una piena fiducia in se stessi, e che garantisce la continuità di cui Lukaku e compagni si sono serviti, da un bimestre ad oggi, per guadagnare campo sulle rivali. Ne è un esempio lo schieramento sceso a San Siro domenica difronte ad un Genoa reduce da un mese e mezzo di imbattibilità: a naso, un’Inter così bella e concreta, efficace e brillante, dinamica e quadrata, non si apprezzava da nessuno sa quando.

Una miscela di solidità e spettacolo di rara memoria che potrebbe regalare un’annata da incorniciare, e che già al Tardini di Parma dovrà ripetersi, perché l’introspezione – per utilizzare il nuovo salmo del vangelo di Conte – non finisce qui.

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Alex Angelo D’Addio

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