2 Marzo 2019

L’Intertinente – La lettera di Maurito: parafrasi della polemica. Cosa non ha capito Icardi dell’Inter

Una rubrica per rafforzare un concetto: l’impertinenza di essere nerazzurri

Indipendentemente da come si decida di schierarsi, l’appunto di Luciano Spalletti nella conferenza stampa che ha preceduto Cagliari-Inter è da sottoscrivere devotamente: è bene che si discuta solo di chi “[…] ha a cuore le sorti dell’Inter”, e che non si deragli l’attenzione collettiva – concentrata su obiettivi che sono imprescindibili per il blasone, ancora prima che per le finanze – verso inezie che deteriorano, piuttosto che compattare. Evidentemente, seppur recepito nell’immediato, il messaggio non è stato ben tradotto da Mauro Icardi, che ha preferito rincarare la dose, invece di chiedere asilo ad un più opportuno e signorile silenzio.

Per giunta, questa sarebbe stata un’occasione unica e forse irripetibile per azzerare gli imbarazzi e per acquietare i subbugli, riscattandosi da molteplici vaniloqui che hanno minato la credibilità – già flebile, all’onor del vero – e la tranquillità di un ex-Capitano che mai si è davvero immedesimato – al netto delle chiacchiere e della retorica a tanto al chilo – nella simbologia di un ruolo primario. 

Infatti, prima le poco oculate esortazioni del “Se non la ami quando perde, non amarla quando vince” – quasi come se il pubblico interista, da anni in cima alla classifica europea di affluenza nonostante l’avarizia delle recenti stagioni, dovesse appendere cosa significhi adorare l’Internazionale – durante la raccolta dei brandelli di un gruppo persino – ci scuseranno i felsinei – alla deriva del Bologna, poi le scoordinate osservazioni di Wanda Nara nei salotti di una trasmissione televisiva – comparando le situazioni, non si coglie se sia più ridicolo rintanarsi nell’opinionismo di mestiere per rivendicare un presunto diritto di sproloquiare, o esorcizzare il demone del sessismo per legittimare le sciocchezze che si professano -, hanno appiccato il fuoco in un ambiente ampiamente incandescente di suo.

L’infortunio con annesso recupero e il costante declinare le convocazioni hanno compiuto il resto, ovvero un danno d’immagine e una disunità dilagante che solo la sagacia e la lungimiranza di Beppe Marotta sono state in grado di medicare. Nelle scorse ore, a distanza di un niente dalle parole di Spalletti, ecco riaffiorare l’orgoglio di Icardi, sempre meno distensivo e più impertinente. Perché parla sempre di quanto il suo contributo abbia tenuto a galla un’Inter al disfacimento, ma senza accennare nemmeno distrattamente al fatto che il supporto garantitogli dal 2013 gli abbia consentito di raggiungere una sontuosa tripla cifra.

Perché si auto-celebra per aver rigettato lusinghe di fascinose pretendenti, ma senza che nessuno si ricordi di una smentita rispetto alla potenziale trattativa col Napoli nell’estate 2016, o che si sia distanziato dalle parole della moglie/agente nel passato e di Partici nel presente, in relazione ad un possibile interessamento della Juventus. Perché millanta di aver coronato “[…] il sogno di tutti noi interisti”, quando – non certo per sue dirette responsabilità – la bacheca è in astinenza dal maggio 2011. Perché dice di aver “[…] rispettato i tifosi” e “[…] tutti gli allenatori” succedutisi durante la sua militanza, quando ha minacciato di morte parte dei primi – vedi la Curva Nord – mettendo in difficoltà alcuni dei secondi, che si sono trovati a dover gestire i casi derivanti dalle polemiche che lo hanno riguardato in questi anni.

Perché ostenta a menzionare il rispetto per l’Inter e la sua Gloria, mettendo in discussione quello dei vertici societari e della guida tecnica, sebbene le istanze di adeguamenti e di corposi aumenti di ingaggio siano ormai divenute un appuntamento annuale in quel di corso Vittorio Emanuele, e non per l’insaziabilità di qualche dirigente o allenatore. Dunque, si moderino termini e linguaggio, perché con o senza Icardi, la passione e l’entusiasmo resteranno intoccabili. “[…] All’Inter. Con l’Inter”.