13 Agosto 2018

L’Intertinente – La parabola ascendente di Lautaro Martinez: El Toro è garanzia e ritorno al passato

Una rubrica per rafforzare un concetto: l’impertinenza di essere nerazzurri

La piroetta pindarica con la quale ha spedito la palla nelle profondità della rete, sotto i riflettori di un Wanda Metropolitano attonito ed intontendo i fedeli dell’Atletico Madrid – ufficialmente in conflitto col rimpianto di non poter essere padrini delle sicure prodezze future di un estroso e carismatico gioiellino -, è un altro attestato probatorio che Lautaro Martinez è certamente un orizzonte sconfinato di assoluta classe ancora tutto da esplorare, ma che potrebbe fornire spunti utili per alternative già nell’immediato.

Oltre il fulmine da fuoriclasse consumato che ha squarciato il cielo estivo della Capitale spagnola, El Toro è un moto perpetuo in grado di suturare centrocampo ed attacco, e di forgiare su di sé le parvenze del reparto avanzato. Tecnicamente dotato e tatticamente ben catechizzato – inclinazione assai rara per un 21enne -, nell’economia di un’Inter che pare stia confermando l’idea di solidità dell’anno passato e stia elaborando una proposta di gioco interessante, le capacità di questo giovane argentino vengono esaltate da uno stile efficace e a tratti meraviglioso – come il colpo di sabato sera – e da una sfrontatezza indispensabile per diventare padrone del proprio destino e per condurre quello dell’Internazionale a un avvenire florido.

Rispetto ai colleghi di parco, l’eventualità di una staffetta con Mauro Icardi non sembra intimorirlo né subordinarlo, anzi la possibilità lo stimola a rendere al massimo e lo incoraggia anche a condividere i medesimi spazi con il numero 9; sebbene Spalletti propenda per una quadra che catalizzi l’intera manovra verso un unico puntero, accomodare Lautaro dietro il capitano o ubicarlo qualche passo più in là, potrebbe addirittura tradursi in un impiego da seconda punta articolata.

Inoltre, alla vulgata dei cultori di Martinez, si accoda anche una trafila di ricordi e di similitudini col passato: le menti più pigre restano ingessate alla catastrofica esperienza di Gabigol, che ha goduto di un’investitura mediatica e popolare tanto incondizionata quanto ingiustificata, e si è mediocremente mostrato al netto di improbabili qualità (?).

Le memorie più ferree, invece, si ricollegheranno agli esordi pre-stagionali di un brasiliano appena 18enne, che si affacciò al grande Calcio europeo da uno delle verande più facoltose, qual è il Santiago Bernabeu: nell’estate del 2001, sempre a Madrid, con un missile contrabbandato per punizione dal limite dell’area, Adriano Leite Ribeiro conquistò Hector Cuper, ammutolì il Real, e spianò la strada alla leggenda di un Imperatore la cui potenza stratosferica e a tratti sovrumana diventò in seguito schiava dei vizi e dell’ingordigia di un uomo debole che non seppe reggere il peso della corona di San Siro.

Per El Toro, tuttavia, il battesimo è stato quasi lo stesso, però la maturità che ha espresso fino ad ora, potrà condurlo ad un epilogo che tutti sperano essere differente: le premesse ci sono tutte.

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