L’Intertinente – Nainggolan, Icardi, Perisic e il campo minato Inter: Marotta è l’unico antidoto
Una rubrica per rafforzare un concetto: l’impertinenza di essere nerazzurriPiù che essere in linea con il rendimento invernale delle recenti stagioni e oltre ad aver accentuato e definitivamente generalizzato lo sconforto, le (non) prestazioni contro Sassuolo prima e Torino poi sono la naturale ed ineluttabile conseguenza di un clima appesantito dalle intempestività di alcuni tesserati, che continuano a colmare le colonne dei rotocalchi e a srotolare le malelingue della polemica tramite vicende che esulano dalle loro doti balistiche e dalle loro capacità di incidere sul campo.
È così che il continuum Nainggolan–Icardi–Perisic ha stravolto l’ambiente nerazzurro già di per sé tremendamente fragile, molestandone la serenità e scombussolandone ordine e norme. Seppure sconnessi per forma e modi, i casi del belga, dell’argentino e del croato sono accomunati in ciò che hanno prodotto e stanno proseguendo a rinsaldare: un’anarchia potenzialmente distruttiva che non può più essere tollerata, in primis per l’ossequio che si conviene alla storia ultracentenaria dell’Internazionale di Milano, e in secondo luogo per salvaguardare il proseguo di un’annata che non può essere il capro espiatorio delle mancanze disciplinari e professionali di qualcuno.
Manco a dirlo, la panacea risponde al nome di Beppe Marotta, che più di chiunque altro sta riuscendo ad arginare un vuoto di potere societario a causa del quale certi episodi si sono succeduti e ripetuti negli anni: la compostezza nell’acquietare gli animi su Perisic durante il pre-gara dell’Olimpico di Torino, e l’altrettanto pacata diplomazia nel dopo-vertice di lunedì sera, sono i segnali di una sterzata di serietà direttiva di cui il nuovo Amministratore Delegato è un fautore indiscusso. Senza timore di azzardare, la conduzione mediatica del suo ruolo lo sta contornando di credibilità e lo sta consacrando come il più interista fra i mestieranti dell’interismo, ossia coloro che, pur non avendo un trascorso direttamente riconducibile alla Beneamata, ne apprendono la valenza e ne accrescono la dimensione.
Perché, semmai non lo si fosse ancora compreso, l’Inter è un inestimabile valore intergenerazionale che si riconosce in un mito secolare, e non in una forzata e destabilizzante cronaca da fugace prima pagina: di sicuro, andrebbe rispiegato a quei calciatori abulici e alle loro compagne esibizioniste – per inciso, Candreva lo riferisca alla propria -, che non perdono mai occasione di sfoggiare un (forse nemmeno troppo) inconscio e totale feticismo da social–networks, sfociante nell’ingiustificabile protagonismo di cui i succitati si macchiano con disturbante costanza.
Dunque, ecco svelato l’arcano di tanta destabilizzazione: l’insofferenza di Nainggolan – che sembra esseri accorto a scoppio ritardato del fatto che Milano non sia la Capitale d’Italia, e che il nero e il blu miscelati non diano una tonalità giallorossa -, le annuali premure remunerative di Icardi – che non capisce che il Capitanato dell’Internazionale sia una motivazione più che “[…] corretta e concreta” per definire gloriosa una carriera -, e le mire anglosassoni di Perisic – la cui esperienza nerazzurra è ai titoli di coda dall’estate 2017 -, sono il reale limite psico-emotivo di questo gruppo, di gran lunga superiore alle responsabilità di Spalletti, che sebbene ostaggio di un integralismo tattico da riformatorio, è il 12º – dodicesimo! – allenatore dal Triplete ad oggi. Marotta, pensaci tu!