L’INTERTINENTE – Scarsa mentalità e pochissima qualità: la povertà dell’Inter, al di là di Conte
Una rubrica per rafforzare un concetto: l'impertinenza di essere nerazzurriLa rimonta subita domenica pomeriggio contro il Bologna a San Siro è la fotografia spietata e deprimente di due evidenze ad oggi non sindacabili: la pochezza di competitività della Serie A e l’apparentemente cronica irresolutezza dell’Inter. Entrambe, inoltre, sono accomunate dal fattore tempo, in quanto perdurano da circa un decennio e l’epilogo è sempre il medesimo, ovvero l’ennesima (o quasi) consacrazione nazionale della Juventus e lo scontato tonfo della Beneamata.
La prima – la prevedibilità del campionato nostrano – si è evinta nuovamente nella giornata passata, ove le velleità dei nerazzurri e della Lazio sono state messe definitivamente a nudo: aspettative ed ambizioni delle inseguitrici di Sarri si sono imbattute nello strapotere d’organico e nelle poderosità balistiche dei bianconeri – a parte ieri sera, mai mostranti il fianco e capaci di sfangarla, anche quando la lucidità e le idee di gioco latitano -, e sono state contraddette dalle debolezze di organici ancora acerbi per impensierire la detentrice degli ultimi 8 Scudetti.
Per quanto concerne la seconda – l’irrimediabile incompletezza dell’Internazionale -, invece, i limiti caratteriali e le defezioni qualitative sono le costanti di una squadra che pare inabile ed inidonea a maturarsi nella testa e nella tempra e ad invertire le tendenze sciagurate dell’epoca post-mourinhana. Sebbene si confidasse che il suo temperamento e la sua intransigenza potessero risultare il toccasana tanto agognati nei pressi della Pinetina dal 2010, l’incidenza di Antonio Conte è stata – almeno odiernamente – riponderata sulle difficoltà conclamate di una rosa che stenta ad evolvere la propria mentalità e che è impossibilitata a decollare a causa della mediocrità ossidatasi negli anni.
Ne consegue, dunque, che le responsabilità, per quanto oggettive possano essere, non siano da ricondurre esclusivamente all’allenatore, che addirittura si trova al centro di voci che ne vorrebbero un futuro lontano da Milano già al termine della stagione – farneticazioni devianti, per cercare di forzare un paragone con Lippi che non reggerà mai, né nei risultati, né tantomeno nell’empatia instaurata con l’ambiente -. Che il tecnico salentino non sia esente da colpe è implicito, ma attribuirgli la paternità di tutte le storture di un organico che è da una decade vittima di sé, è una sentenza tremendamente severa ed iniqua da comminargli.
Soffermandoci sulla indubitabilità dei fatti, l’Inter del Triplete è stata l’ultima realtà nella storia recente del Biscione a distinguersi per determinazione, appartenenza e classe pura, e forse questa eredità è un peso insostenibile per un gruppo alla ricerca di un’identità e di una connotazione che ne cambino il corso degli eventi e siano in grado di invertirne la rotta.
Le caratteristiche della corazzata di Mourinho sono esattamente le lacune principali dell’Inter attuale, preda delle sue storture e della sua fragilità: le incertezze di Gagliardini e le amnesie collettive sono la controprova di una cordata che manca di attributi ed è povera nello spirito, il che spiega l’inaffidabilità alla base degli scivoloni di quest’anno, dai secondi 45′ di Dortmund alle iatture in casa con Sassuolo e con i felsinei di Mihajlovic, passando per gli scontri diretti di Roma con i biancocelesti e di Torino con la Juve.
Se la possibilità di contendersi il Tricolore sino in fondo e quella di meglio figurare in Champions League sono sfumate, lo si deve primariamente alla inconsistenza complessiva di un gruppo di giocatori che non riesce ad amalgamarsi tecnicamente ed organizzativamente, più che alle inadempienze della panchina, che pur ha un diretto ascendente e renderà conto di sbavature così marcate.
Chiaramente, rincorrere il secondo posto e sollevare l’Europa League saranno le condizioni imprescindibili con le quali si potrà suggellare il prologo dell’era Conte in maniera propizia e promettente; altrimenti, gli auspici si sovvertiranno in giudizi tombali e i paragoni con fallimentari esperienze pregresse torneranno prepotentemente alla ribalta. Antonio non lo vuole, ed è per questo che ne soffre: che facciano altrettanto i giocatori, possibilmente non soltanto all’1%.
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