Frey: “CR7? Il vero Ronaldo è un altro. Il 6-0? Milan posseduto, pensai che…”
Sebastian Frey, ex portiere nerazzurro e terzo straniero di sempre più presente in Serie A, alle spalle di Javier Zanetti, ha rilasciato una lunga intervista al quotidiano sportivo Il Corriere dello Sport, l’Inter e Ronaldo tra gli argomenti principali, ecco i suoi ricordi: “Mi volevano il Marsiglia e il Bologna. Ma andai a vedere una partita di […]Sebastian Frey, ex portiere nerazzurro e terzo straniero di sempre più presente in Serie A, alle spalle di Javier Zanetti, ha rilasciato una lunga intervista al quotidiano sportivo Il Corriere dello Sport, l’Inter e Ronaldo tra gli argomenti principali, ecco i suoi ricordi:
“Mi volevano il Marsiglia e il Bologna. Ma andai a vedere una partita di Uefa dell’Inter contro lo Strasburgo. Allora il calcio estero non lo vedevi tanto in tv, in Francia conoscevamo soltanto la Juve di Platini. Per me lo stadio erano cinquemila persone, poco più. Quella sera San Siro era pieno, Moratti mi regalò un cappotto, ce l’ho ancora nell’armadio. Poi andai negli spogliatoi e mi presentarono Djorkaeff, Cauet, Taribo West. Vidi passare Ronaldo a un metro da me. Le generazioni di oggi non sanno cosa si sono perse. Dici Ronaldo e pensano a Cristiano. Non sanno che cosa è stato Ronaldo quello vero. Quella sera dissi al mio procuratore: io voglio venire qui, in questa squadra. A Marsiglia sarei stato praticamente a casa, avrei fatto meno fatica. Ma così sono diventato adulto in fretta. E’ stato difficile, mi hanno aiutato soprattutto quelli che parlavano francese, Cauet è stato un altro padre per me, anche Taribo West nella sua pazzia ha dato un contributo. Mi costrinsi a imparare l’italiano alla svelta. E l’Inter allora era una famiglia. Non voglio dire che trattassero Frey come Ronaldo, ma a livello umano eravamo tutti uguali. Oggi questo si è perso. Il primo anno mi allenavo e continuavo a guardare Ronaldo e Baggio. Potevo anche andare in porta con gli occhialini per il 3d e il popcorn, come al cinema.
Verona? L’Inter aveva comprato Peruzzi, una leggenda, un mostro. Non sapevo quanto avrei giocato. Mi voleva il Napoli, ma i rapporti fra i club resero più facile il passaggio al Verona. Arrivai dopo l’Europeo, Prandelli aveva dato tre giorni di vacanza alla squadra, io li passai correndo nei boschi con il preparatore. Piangevo tutte le sere, telefonavo ai miei e dicevo che volevo tornare a casa.
Ritorno all’Inter? Non mi arrivavano grandi segnali. Un giorno mi chiamò la Lazio e io rilasciai un’intervista: se non mi vuole l’Inter andrò alla Lazio. Poi andai a trovare i miei nonni. Stavo parcheggiando e sentii squillare il telefono. Era Lippi. Bisogna capire, Lippi. Io ero soltanto Frey. Mi chiama e mi fa: perché hai detto quelle cose? E io: perché non mi fermo, non torno a fare il secondo. Lui non si arrabbiò neanche: mi disse di stare tranquillo, che sarei stato il titolare dell’Inter. Non sapevo più cosa dire. Mantenne la parola. Marcello è così: un toscano senza filtri, in questo mondo siamo in pochi. Proprio per questo dopo la sconfitta di Reggio Calabria disse che avrebbe preso i giocatori a calci nel culo. Lì si ruppe qualcosa, e lui pagò col posto. La stagione finì malissimo. Il derby perso sei a zero è stata una delle serate più lunghe della mia vita. Continuavo a pensare: perché io? Perché proprio a me? Il Milan sembrava posseduto, noi paralizzati. E da lì alla fine del campionato fu un incubo”.